Regionali. Liguria: Paita avrebbe perso comunque. Veneto: i voti a chi governa bene

Raffaella Paita incolpa della sconfitta la sinistra ma è solo colpa sua

GENOVA – Grande sconfitta nella sua corsa alla poltrona di presidente della Liguria, Raffaella Paita, candidata del Pd lanciata dal presidente uscente Claudio Burlando, invece di guardare al trionfo di Luca Zaia e agli effetti del suo buongoverno, ora dà la colpa al rivale di sinistra, l’ex Pd Luca Pastorino, ma sbaglia di grosso. Se ha perso le elezioni la colpa è solo la sua e del suo mentore, il presidente uscente Claudio Burlando.

Luca Pastorino, difendendosi, allarga il biasimo a Matteo Renzi:

“Non è colpa mia se ha perso, la colpa è sua e di Renzi che hanno distrutto il loro partito”.

Anche se la coalizione che portava Giovanni Toti ha avuto oltre 225 mila voti, la lista della Paita ne ha avuti poco più di 180 mila, a Pastorino e soci di sinistra sono andati 60 mila voti e spicci e in teoria sommando i voti Paita e i voti Pastorino un candidato unico di sinistra avrebbe potuto battere, anche se di poco, l’uomo di Berlusconi, siamo nella più perfetta fantapolitica.

Infatti è obbligatorio chiedersi: quanti voti andati a Pastorino avrebbero preso la via della scheda Paita? Quanti voti confluiti su Pastorino si sarebbero fermati nel limbo dell’astensione? Avrebbe mai potuto una della Spezia governare Genova non da assessore ma da presidente, tenuto conto che gli abitanti di Genova sono metà dell’intera regione? Quanti voti andati alla Lega in Liguria, dove ha raggiunto il 20 %, raddoppiando il suo dato storico, sono voti di compagni delusi?

In liguria erano stufi un po’ tutti di un regime post comunista che si era trasformato in una macchina di voti e di appalti. Un giovane bancarellaro mesi prima delle elezioni,mesi prima dello scandalo delle primarie, aveva confidato:

“A Genova siamo tanto conservatori che continuiamo a votare Pci. Ma quanto durerà ancora?”.

A fronte della sconfitta di Raffaella Paita c’è il risultato quasi da plebiscito di Luca Zaia e della Lega in Veneto. Prendere più della metà dei voti non dipende solo dalla ideologia. Nemmeno in Nigeria hanno votato solo in nome della fede. Alla base c’è sempre la buona amministrazione. Così vincevano ai bei tempi i comunisti in Emilia Romagna, Toscana e Umbria, così vince la Lega, che al di là delle panzane sui Dio Po di Umberto Bossi ha quadri di primissimo ordine, ha dato al Governo della Repubblica ministri di primissimo ordine come Roberto Maroni. Gli scandali fanno male, il populismo e la demagogia fanno bene, ma non ne muori e non ci campi se alla base non fai funzionare le cose bene, I dittatori europei del ‘900 usavano la polizia segreta contro i dissidenti e i ribelli del partito, ma il popolo quando non li amava li tollerava e li lasciava fare, perché a tavola non ci fanno le idee ma pasta, patate, carne, verdura.

La sconfitta del pd in Liguria (e anche il voto risicato in Umbria è figlio della delusione) si è costruita nei mesi e negli anni.

La conversione di Raffaella Paita e del suo mentore Burlando al vangelo di Matteo Renzi è stata rapida e repentina ma per convincere genovesi e liguri ci vuole ben altro.

Renzi, capo di partito, intento a fare incetta di macchine macina voti per recuperare lo smacco inflittogli da Pierluigi Bersani nelle primarie del 2012, li ha accolti a braccia aperte e li ha coperti dopo una disastrosa alluvione, dopo che sono emersi i dirottamenti di fondi dall’ambiente alle bocciofile, dopo lo scandalo delle primarie degno di un’elezione in Alabama.

Matteo Renzi non aveva scelta: i partiti non sono aziende, nemmeno per Berlusconi, sono gruppi di uomini uniti da interessi e consenso. Avendo Renzi una faccia di tolla con pochi uguali, darà ora la colpa alla sinistra del suo partito, perché questo gli servirà come base per una inevitabile purga. Anche questo fa parte delle regole della politica organizzata, nelle dittature a partito unico come nelle democrazie pluraliste.

Ma Raffaella Paita deve tacere. I genovesi non sono scemi e i liguri nemmeno. Un po’ lenti a cambiare strada, maniman…Ma non li puoi sfottere e farla franca, nemmeno i più rossi.

Invece Raffaella Paita non conosce freni e, come analizza l’agenzia di stampa Ansa, accusa la sinistra e il suo candidato, l’ex Pd Luca Pastorino,

“di avere “cinicamente” aiutato l’avversario di centrodestra dividendo i sostenitori del Pd. Il risultato finale è netto: Toti 34,7%, Paita 27,7%”.

Raggiunta al telefono da un redattore dell’Ansa, Raffaella Paita ha detto che Pastorino è stato

autore di “un’operazione cinica che ha consegnato la Regione ad ‘un uomo di Berlusconi'”.

Pastorino ha fatto spallucce e ha previsto che

” Toti non avrà i numeri per governare e e rivedremo un patto del Nazareno al pesto”.

Nelle analisi del giorno dopo è precisa come un bisturi la nota di Erika Dellacasa per il Corriere della Sera che, considerando i “pochi punti” che dividono Raffaella Paita da Giovanni Toti, li definisce

“punti pesantissimi che bruciano più del fuoco. Una brutta botta per il Pd, dopo dieci anni di governo di Claudio Burlando, l’uomo forte del partito ligure che ha visto però appannarsi la sua leadership proprio con la candidatura di Paita. Burlando ha voluto con forza che l’assessore della sua giunta, la grintosa quarantenne spezzina, corresse per la guida della Regione, l’ha sostenuta a Roma e contro le opposizioni locali interne del partito.

“Le primarie che hanno contrapposto Paita all’europarlamentare Sergio Cofferati sono state un disastro: ha vinto Paita ma a caro prezzo. Lanciando accuse contro un voto inquinato da presunti brogli e da accordi con il centrodestra Cofferati si è dimesso dal Pd e ha sostenuto il civatiano Luca Pastorino che è uscito dal partito e si è presentato come candidato anti-Paita”.

 

I capi del Pd in Liguria e a Roma, avverte Erika Dellacasa, devono

“riflettere sull’ostinazione con cui Paita ha perseguito la propria auto-candidatura, sull’indifferenza di Renzi nei confronti delle «beghe» liguri, sulla sottovalutazione della dissidenza che ha fatto capo a Luca Pastorino ma anche a quella che è rimasta interna al Pd e che ha dato vita a un manifesto. E hanno avuto di che riflettere sul misero 50,67 per cento dei votanti, mai la Liguria aveva registrato una percentuale così bassa. I liguri hanno continuato a considerare Giovanni Toti, lo straniero «paracadutato» da Berlusconi e che invano ad ogni comizio sventolava il suo certificato di residenza in un paese del ponente ligure, »uno di fuori» ma lo hanno votato”.

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Marco Benedetto