Dopo Venezia. I film italiani non incantano più: un flop del nostro cinema o della mostra di Muller?

Paolo Baratta e Marco Muller

I film italiani che fanno flop, il cinema con i suoi tifosi cinefili così lontani dai critici, Berlino e Cannes sempre più lontane dall’Italia:  il festival di Venezia ha lasciato tanto da pensare agli addetti ai lavori. Al Lido qualcosa sta cambiando, qualcuno è addirittura convinto che sia agli sgoccioli e pare che il Festival di Roma sia in pressing per approfittarne.

A fare da detonatore alle polemiche sulla 67esima Mostra di Venezia sono state le parole di Riccardo Tozzi, presidente dell’Anica, dei produttori cinematografici. Dure le sue parole, amara la sua visione, in una lettera al quotidiano “Il Messaggero”: «Il Lido non ha più strutture adeguate a ospitare la Mostra del Cinema di Venezia. Non sono un esperto di turismo: forse lo saranno per il turismo, ma non per una manifestazione internazionale».

Marco Muller, da sette anni direttore della Mostra, condivide l’analisi ma non la vede così disastrosa almeno per i film made in Italy. Resta comunque il problema di esportare i nostri talenti, farci apprezzare anche all’estero e dai critici stranieri. Nel business del cinema, almeno in quello nostrano, forse il problema è di condizioni per competere ad armi pari: mancano finanziamenti e idee che riescano a fare colpo. Per Muller è solo «una balla» che i nostri film non piacciono all’estero. Resta però lo schema ahimé rodato all’ultima passerella al Lido: nessun film italiano si è aggiudicato un premio.

C’erano “La Passione” di Carlo Mazzacurati con Silvio Orlandi e Cristiana Capotondi, “Noi credevamo” di Mario Martone con Luigi Lo Cascio, Toni Servillo, Luca Zingaretti e Anna Bonaiuto, “La solitudine dei numeri primi” di Saverio Costanzo con Luca Marinelli, Alba Rohrwacher e Isabella Rossellini e “La Pecora nera” esordio di Ascanio Celestini con Giorgio Tirabassi, lo stesso Celestini e Maya Sansa. Nemmeno il tanto apprezzato “Noi credevamo” di Martone, con il suo Giuseppe Mazzini “terrorista” è riuscito a strappare un riconoscimento.

Allora il punto qual è? Che il cinema e l’arte hanno lasciato spazio a troppo business? Che i finanziamenti hanno premiato solo pochi? Il regista Gabriele Salvatores ha cominciato a cercare di cambiare partendo da un’autocritica tutta italiana: «I nostri film non passano a livello emozionale all’estero». Sofia Coppola con il suo Somewhere (forse aiutata dal cognome e dall’amicizia con Quentin Tarantino) invece ci è riuscita e il Leone d’oro è suo.

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