ROMA – Hollywood-Hitler: storia di una collaborazione di 10 anni. Per 10 anni, dal ’31 fino all’entrata in guerra del ’41, si può accusare Hollywood di collaborazionismo con i nazisti. E’ una vera mazzata all’immagine delle grandi case di produzione, dalla Universal alla 20th Century Fox, dalla Paramount fino a una Mgm de-semitizzata, protagoniste, ma solo dal ’41 della grandiosa propaganda bellica che contribuì alla vittoria finale. L’unico vantaggio, forse, è l’alleggerimento del pregiudizio anti-ebraico che vede in Hollywood la testa di ponte del complotto demo-pluto ecc…
Uno studio recente pubblicato da Ben Urwand e anticipato da Hollywood Reporter in uscita nelle librerie in settembre (The Collaboration: Hollywood’s Pact with Hitler), fa luce sulle relazione pericolose intessute fra i due oceani a partire da una data particolare. Il 5 dicembre 1930, Hitler e i suoi ancora una rumorosa minoranza al Reichstag, alla prima di Berlino del film “Niente di nuovo sul fronte occidentale”, il futuro capo della propaganda Joseph Goebbels organizza un furioso sabotaggio della proiezione. Topi liberati in platea, bombolette asfissianti, incidenti ben congegnati: la prima salta, sei giorni dopo il film è censurato e l’avvertimento è lanciato. In Germania non c’è posto per offese all’onore patrio, la prima guerra mondiale è un terreno minato.
In America, dal momento che il mercato tedesco è il secondo del mondo, sono preoccupati. La Universal, che aveva prodotto il film tratto da Remarque, prende provvedimenti e Carl Laemmle, presidente ed ebreo, ottiene una interlocuzione ad alto livello con il ministro degli Esteri, accettando i pesanti tagli inferti alla pellicola originale. E’ l’inizio di una vera collaborazione che andrà avanti per anni e coinvolgerà le altre compagnie. Ne scrive anche Maurizio Molinari su La Stampa:
Nel 1933 Laemmle impegnò importanti risorse per far fuggire almeno 300 ebrei dalla Germania dove Hitler era arrivato al potere ma fece un’altra concessione a Berlino, rimandando il debutto di The Road Back , il seguito di Niente di nuovo sul fronte occidentale, perché giudicato “offensivo” dell’orgoglio tedesco. In un telegramma del ministero degli Esteri tedesco in merito alla marcia indietro si legge: «La collaborazione di Universal non è platonica ma dovuta al loro interesse per il nostro mercato». Il portavoce dei nazisti a Los Angeles era Georg Gyssling, console e iscritto al partito di Hitler dal 1931, che riuscì a piegare anche Rko e Fox facendo leva sull’«articolo 15» del regolamento cinematografico tedesco in base al quale se un produttore distribuiva un film non gradito ovunque nel mondo, i suoi film sarebbero stati proibiti in Germania.
“Zusammenarbeit” è questa la parola tedesca del patto di collaborazione della vergogna. Pecunia non olet dicevano i romani, ma c’è un limite a tutto.
Los Angeles comandavano a bacchetta Joseph Breen, capo della Anti-Defamation League, incaricato di leggere le sceneggiature e riferirne a Berlino. Dove nel 1936 restano solo MGM, Paramount e 20th Century Fox: a furia di applicare l’autocensura, con Will Hays a infliggere il suo codice, gli studios perdono soldi. La misura è colma quando Frits Strengholt, capo della MGM tedesca, è costretto a divorziare dalla moglie ebrea. Che finirà in un lager. Scatto di reni di Hollywood? No, il patto tra Hitler e Hollywood prosegue e nel 1938 la 20th Century Fox scrive direttamente a Hitler: «Saremmo grati se voleste esprimere l’opinione del Führer sugli effetti del cinema americano in Germania. Heil Hitler!». Lui non risponde: in Susannah of the Mounties ha visto Shirley Temple mescolare il suo sangue a quello di un apache e Tarzan, con tutte quelle scimmie, non gli è piaciuto. (Cinzia Romani, Il Giornale)