ROMA – Venticinque secoli separano il film “I ragazzi stanno bene”, appena uscito e già in mezzo alle polemiche, e il “Simposio” di Platone in cui si teorizza l’origine dei tre sessi. Ma la lettura del fil e del dialogo socratico fanno emergere una continuità che fa rifletter.
Cominciamo col film. “Anche i gay meritano di avere gli stessi guai degli eterosessuali”, sostiene la regista Lisa Cholodenko che apparecchia per il cinema la tavola della famiglia non convenzionale, quella di due mamme e una casa da gestire.
Si fa presto a raccontare la trama: ci sono due donne, Annette Bening (Nic) e Julianne Moore (Jules), una coppia di lesbiche per l’esattezza, che dopo tanti anni insieme hanno coronato l’amore con due figli. Si tratta di due “pargoli”, avuti rigorosamente per la gentile concessione di seme di un donatore: la più grande si chiama Joni (Mia Wasikowska), il fratello è Laser (Josh Hutcherson).
La stranezza della pellicola è la sua normalità, la regista mette una sera a cena la famiglia in versione moderna: due mamme apprensive, i ragazzi pressati per via degli amici che non vanno proprio a genio ai genitori, paure quotidiane di routine. Il quadretto è disegnato pressoché così, dunque, mamme severe, figli svogliati ma obbedienti che scrivono dei fatidici bigliettini di ringraziamento a fine cena.
Accantonate le normali beghe familiari le due mamme passano anche qualche guaio un po’ più serio, visto che devono fare i conti con una famiglia particolare: Joni, che si chiama così in onore di Joni Mitchell, al diciottesimo d’età può chiedere di conoscere il nome del donatore del seme.
Alla fine lo trova, e lui che di nome fa Paul (Mark Ruffalo), è tanto bello quanto un po’ con la testa in aria: anche lui entrerà nel circolo familiare e gioca bene il suo ruolo di papà biologico sui generis in un’interpretazione che a molti è piaciuta parecchio. La forza del film, sottolineano i fan della pellicola, è proprio aver portato sugli schermi una famiglia anomala, ma forse più normale di tante altre, una coppia in crisi, i figli che portano pensieri, tutto con uno sfondo che di spunti sociologi ne offre a bizzeffe ma senza la pretesa di indottrinare a tutti i costi.
Ma sesso e famiglia, omosessualità e figli della nostra vita fanno parte da sempre. Rileggiamo Platone e il suo Simposio. A scuola non lo fanno leggere, troppo estremo, troppo controverso, scivola nella pedofilia, giustifica la cicuta.
Contiene però anche una grande intuizione, quella di un terzo sesso, che non si identifica né con quello maschile né con quello femminile, ma ha caratteristiche sue peculiari, come a volte viene da pensare anche oggi.
L’ambientazione è quella del banchetto, offerto dal poeta tragico Agatone per festeggiare la sua vittoria negli agoni delle Lenee, o Grandi Dionisie, del 416 a.C. Oltre a Socrate e al suo discepolo Aristodemo, fra gli invitati ci sono il medico Erissimaco, il commediografo Aristofane, lo storico Pausania con il suo amico Fedro, figlio di Pitocle. Ognuno prende la parola.
Rivolgendosi ad Erissimaco, Aristofane dice: “A dir la verità, Erissimaco ho intenzione di parlare diversamente da te e da Pausania. Infatti mi sembra che gli uomini non si rendano assolutamente conto della potenza dell’Eros. Se se ne rendessero conto, certamente avrebbero elevato templi e altari a questo dio, e dei più magnifici, e gli offrirebbero i più splendidi sacrifici. Non sarebbe affatto come è oggi, quando nessuno di questi omaggi gli viene reso. E invece niente sarebbe più importante, perché è il dio più amico degli uomini: viene in loro soccorso, porta rimedio ai mali la cui guarigione è forse per gli uomini la più grande felicità. Dunque cercherò di mostrarvi la sua potenza, e voi fate altrettanto con gli altri. Ma innanzitutto bisogna che conosciate la natura della specie umana e quali prove essa ha dovuto attraversare. Nei tempi andati, infatti, la nostra natura non era quella che è oggi, ma molto differente. Allora c’erano tra gli uomini tre generi, e non due come adesso, il maschio e la femmina. Ne esisteva un terzo, che aveva entrambi i caratteri degli altri. Il nome si è conservato sino a noi, ma il genere, quello è scomparso. Era l’ermafrodito, un essere che per la forma e il nome aveva caratteristiche sia del maschio che della femmina. Oggi non ci sono più persone di questo genere. Quanto al nome, ha tra noi un significato poco onorevole. Questi ermafroditi erano molto compatti a vedersi, e il dorso e i fianchi formavano un insieme molto arrotondato. Avevano quattro mani, quattro gambe, due volti su un collo perfettamente rotondo, ai due lati dell’unica testa”.
Poi continua: “Avevano quattro orecchie, due organi per la generazione, e il resto come potete immaginare. Si muovevano camminando in posizione eretta, come noi, nel senso che volevano. E quando si mettevano a correre, facevano un po’ come gli acrobati che gettano in aria le gambe e fan le capriole: avendo otto arti su cui far leva, avanzavano rapidamente facendo la ruota. La ragione per cui c’erano tre generi è questa, che il maschio aveva la sua origine dal Sole, la femmina dalla Terra e il genere che aveva i caratteri d’entrambi dalla Luna, visto che la Luna ha i caratteri sia del Sole che della Terra”.
E ancora: “La loro forma e il loro modo di muoversi era circolare, proprio perché somigliavano ai loro genitori. Per questo finivano con l’essere terribilmente forti e vigorosi e il loro orgoglio era immenso. Così attaccarono gli dèi e quel che narra Omero di Efialte e di Oto, riguarda gli uomini di quei tempi: tentarono di dar la scalata al cielo, per combattere gli dèi. Allora Zeus e gli altri dèi si domandarono quale partito prendere. Erano infatti in grave imbarazzo: non potevano certo ucciderli tutti e distruggerne la specie con i fulmini come avevano fatto con i Giganti, perché questo avrebbe significato perdere completamente gli onori e le offerte che venivano loro dagli uomini; ma neppure potevano tollerare oltre la loro arroganza”.
Dopo aver laboriosamente riflettuto, Zeus ebbe un’idea. “lo credo – disse – che abbiamo un mezzo per far sì che la specie umana sopravviva e allo stesso tempo che rinunci alla propria arroganza: dobbiamo renderli più deboli. Adesso – disse – io taglierò ciascuno di essi in due, così ciascuna delle due parti sarà più debole. Ne avremo anche un altro vantaggio, che il loro numero sarà più grande. Essi si muoveranno dritti su due gambe, ma se si mostreranno ancora arroganti e non vorranno stare tranquilli, ebbene io li taglierò ancora in due, in modo che andranno su una gamba sola, come nel gioco degli otri.”
Insomma Aristofane racconta come nacquero uomo e donna: “Detto questo, si mise a tagliare gli uomini in due, come si tagliano le sorbe per conservarle, o come si taglia un uovo con un filo. Quando ne aveva tagliato uno, chiedeva ad Apollo di voltargli il viso e la metà del collo dalla parte del taglio, in modo che gli uomini, avendo sempre sotto gli occhi la ferita che avevano dovuto subire, fossero più tranquilli (…). Quanto alle pieghe che si formavano, il dio modellava con esattezza il petto con uno strumento simile a quello che usano i sellai per spianare le grinze del cuoio. (…)E quando una delle due metà moriva, e l’altra sopravviveva, quest’ultima ne cercava un’altra e le si stringeva addosso – sia che incontrasse l’altra metà di genere femminile, cioè quella che noi oggi chiamiamo una donna, sia che ne incontrasse una di genere maschile”.
“E così la specie si stava estinguendo. Ma Zeus, mosso da pietà, ricorse a un nuovo espediente. Spostò sul davanti gli organi della generazione. Fino ad allora infatti gli uomini li avevano sulla parte esterna, e generavano e si riproducevano non unendosi tra loro, ma con la terra, come le cicale. Zeus trasportò dunque questi organi nel posto in cui noi li vediamo, sul davanti, e fece in modo che gli uomini potessero generare accoppiandosi tra loro l’uomo con la donna”.
Il suo scopo era il seguente: “Nel formare la coppia, se un uomo avesse incontrato una donna, essi avrebbero avuto un bambino e la specie si sarebbe così riprodotta; ma se un maschio avesse incontrato un maschio, essi avrebbero raggiunto presto la sazietà nel loro rapporto, si sarebbero calmati e sarebbero tornati alle loro occupazioni, provvedendo così ai bisogni della loro esistenza. E così evidentemente sin da quei tempi lontani in noi uomini è innato il desiderio d’amore gli uni per gli altri, per riformare l’unità della nostra antica natura, facendo di due esseri uno solo: così potrà guarire la natura dell’uomo. Dunque ciascuno di noi è una frazione dell’essere umano completo originario. Per ciascuna persona ne esiste dunque un’altra che le è complementare, perché quell’unico essere è stato tagliato in due, come le sogliole. E’ per questo che ciascuno è alla ricerca continua della sua parte complementare”.
Nel lungo dialogo a un certo punto si arriva anche alle lesbiche che nel Simposio vengono descritte così: “Stando così le cose, tutti quei maschi che derivano da quel composto dei sessi che abbiamo chiamato ermafrodito si innamorano delle donne, e tra loro ci sono la maggior parte degl adulteri; nello stesso modo, le donne che si innamorano dei maschi e le adultere provengono da questa specie; ma le donne che derivano dall’essere completo di sesso femminile, ebbene queste non si interessano affatto dei maschi: la loro inclinazione le porta piuttosto verso le altre donne ed è da questa specie che derivano le lesbiche. I maschi, infine, che provengono da un uomo di sesso soltanto maschile cercano i maschi. Sin da giovani, poiché sono una frazione del maschio primitivo, si innamorano degli uomini e prendono piacere a stare con loro, tra le loro braccia. Si tratta dei migliori tra i bambini e i ragazzi, perché per natura sono più virili. Alcuni dicono, certo, che sono degli spudorati, ma è falso. Non si tratta infatti per niente di mancanza di pudore: no, è i loro ardore, la loro virilità, il loro valore che li spinge a cercare i loro simili. Ed eccone una prova: una volta cresciuti, i ragazzi di questo tipo sono i soli a mostrarsi veri uomini e a occuparsi di politica. Da adulti, amano i ragazzi: il matrimonio e la paternità non li interessano affatto – è la loro natura; solo che le consuetudini li costringono a sposarsi ma, quanto a loro, sarebbero bel lieti di passare la loro vita fianco a fianco, da celibi. In una parola, l’uomo cosiffatto desidera ragazzi e li ama teneramente, perché è attratto sempre dalla specie di cui è parte”.
“Queste persone – ma lo stesso, per la verità, possiamo dire di chiunque – quando incontrano l’altra metà di se stesse da cui sono state separate, allora sono prese da una straodinaria emozione, colpite dal sentimento di amicizia che provano, dall’affinità con l’altra persona, se ne innamoranc e non sanno più vivere senza di lei – per così dire – nemmeno un istante. E queste persone che passano la loro vita gli uni accanto agli altri non saprebbero nemmeno dirti cosa s’aspettano l’uno dall’altro. Non è possibile pensare che si tratti solo delle gioie dell’amore: non possiamo immaginare che l’attrazione sessuale sia la sola ragione della loro felicità e la sola forza che li spinge a vivere fianco a fianco. C’è qualcos’altro: evidentemente la loro anima cerca nell’altro qualcosa che non sa esprimere, ma che intuisce con immediatezza“.
(Stella Morgana)