A Venezia in concorso c’è la poesia e la pazzia de “La pecora nera” di Celestini

Poesia e pazzia in salsa debutta Ascanio Celestini. Si potrebbe sintetizzare così “La pecora nera” in concorso al Festival di Venezia. Poesia, perché i monologhi che accompagnano puntualmente tutta la storia hanno la delicatezza e la grazia del procedere poetico; follia perché di questo si parla. Folle è infatti il protagonista Nicola (Celestini), proprio come era la madre morta in un manicomio, e folli sono anche gran parte dei protagonisti (tra cui alcuni ex degenti degli istituti manicomiali).

Ispirato all’omonimo spettacolo teatrale diventato poi libro (Einaudi) e da una serie di interviste-inchiesta fatte dallo stesso Celestini questo film, il primo dei quattro italiani a passare in concorso, racconta appunto la vita di Nicola (”nato nei favolosi anni Sessanta”) e del suo ”manicomio elettrico” durato 35 anni.

Insieme a lui tutta una serie di personaggi tra cui il suo collega di manicomio (Giorgio Tirabassi) apparentemente abbastanza sano se non fosse convinto, come è, che tutto può essere duplicato (anche le donne che desidera) dai suoi fraterni amici marziani o casomai dai cinesi.

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