NEW YORK – Non poteva che morire a New York Sidney Lumet, universalmente considerato il regista dei classici moderni del cinema americano, riteneva New York non solo la sua Hollywood, ma uno dei personaggi costanti dei suoi film. E’ morto sabato a Manhattan, all’età di 86 anni.
Nato a Filadelfia, in Pennsylvania, il 25 giugno del 1924, in carriera non amò mai Hollywood in modo particolare, preferendo alle strade di Beverly Hills quelle forse più affollate ma a lui più congeniali di New York. Figlio dell’attore Baruch Lumet e della ballerina Eugenia Wermus, aveva infatti cominciato la sua carriera a Broadway, per poi ricoprire per alcuni anni l’incarico di direttore televisivo e forse fu proprio per questa esperienza che il suo primo film nel 1957 fu subito un successo: ‘La parola ai giurati’ (titolo originale ’12 Angry Men’, protagonista Henry Fonda). La pellicola, volutamente claustrofobica, racconta la camera di consiglio newyorkese di 12 giurati americani alle prese non solo con un difficile caso giudiziario, ma anche con i loro pregiudizi di stampo razzista. Il film ottenne una nomination agli Oscar e vinse l’Orso d’Oro al Festival di Berlino.
”Mentre l’obiettivo di tutti i film è quello di intrattenere – scrisse una volta – il mio modo di fare cinema punta a qualcosa di diverso, che io credo vada un passo più in là. Obbliga lo spettatore ad esaminare una faccia o l’altra della sua coscienza. Stimola la riflessione e consente ai succhi mentali di mettersi in moto”.
Il cinema di Lumet, e in particolare proprio ‘La parola ai giurati’, ha avuto questo effetto niente meno che sulla giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti Sonia Sotomayor. La giudice, cresciuta a New York da famiglia portoricana e nominata alla Corte Suprema da Barack Obama, ha ammesso in una recente intervista di essere stata molto influenzata nelle sue scelte proprio dalla visione di quel film. Per il pubblico italiano restano indimenticabili film come ‘Quel tipo di donna’, del 1959, protagonista Sofia Loren, o ‘Pelle di serpente’, del 1960, con Anna Magnani a fianco di Marlon Brando.
Ma sono soprattutto alcuni capolavori degli anni Settanta a ‘firmare’ in modo definitivo il cinema di Sidney Lumet. Due su tutti: ‘Serpico’, del 1973, e ‘Quel pomeriggio di un giorno da cani’, del 1975, film che hanno consacrato Al Pacino tra i grandissimi di Hollywood. Nel 1976 Lumet uscì con la sua opera più celebrata dalla critica non solo americana: ‘Quinto potere’ (titolo originale, ‘Network’). E’ una critica esplicita del sistema televisivo e degli effetti che quel tipo di comunicazione puo’ avere sul pubblico. Protagonisti sono William Holden, Faye Dunaway, Peter Finch, e del cast fa parte anche Robert Duvall. L’interpretazione dei due protagonisti della storia, una giovane e rampante responsabile dei palinsesti e un anchorman ormai sfiduciato e in calo di ascolti, valse rispettivamente a Faye Dunaway e a Peter Finch l’Oscar nel 1977, e il film vinse anche la statuetta per la miglior sceneggiatura.
Nonostante questo, Sidney Lumet non arrivò mai all’Oscar. Fino al 2005, quando l’Academy of Motion Picture Arts and Sciences gli riconobbe una statuetta alla carriera (forse per ”lavarsi la coscienza” scrisse il New York Times). Lumet due anni dopo confidò allo stesso critico: ”La volevo da morire. E in cuor mio penso di essermela meritata”. Secondo i critici Usa, il sistema di Hollywood non lo premiò perchè lui si rifiutò in modo sistematico di andare a vivere a Los Angeles. Preferì New York. Solo a Manhattan o a Brooklyn Sidney Lumet si sentiva ”davvero a casa”. ”Le locations sono uno dei personaggi dei miei film. E’ questa città è l’unica capace di dare l’atmosfera, il tono che cerco”.