
Il mandante del furto della scritta simbolo di Auschwitz «Arbeit macht frei», il lavoro rende liberi, ora rischia la vita. Aveva organizzato il colpo e aveva anche trovato il collezionista che per avere questa icona era disposto a pagare un milione di euro. Il denaro sarebbe servito a finanziare una serie di attacchi terroristici ai danni del governo e del parlamento svedesi progettati dal gruppo di neonazisti di cui era leader.
Ma quando si era reso conto dell’enormità del reato che aveva compiuto, in preda alla paura, aveva rivelato tutto alla polizia svedese che aveva fornito alle autorità polacche le informazioni necessarie per l’arresto dei ladri e il recupero della targa.
Adesso il mandante del furto è in pericolo di vita, vive in una località segreta ed è in attesa di ottenere una nuova identità. Passa le giornate sotto la protezione di agenti che hanno il compito di sventare ogni eventuale tentativo di rappresaglia da parte del gruppo di neonazisti svedesi che si sentono traditi proprio dal loro leader.
Impossibile conoscere l’identità del leader né quella del gruppo neonazista anche se nelle redazioni dei giornali e delle tv svedesi tutti le conoscono. C’è la possibilità che l’ex leader neonazista e i componenti del gruppo terroristico appartengano ad ambienti insospettabili, forse legati ad ambienti politici sospetti o forse oggetto di indagini da parte dei servizi segreti svedesi.
Secondo altre indiscrezioni, il gruppo di neonazisti stava preparando attacchi terroristici contro rappresentanti del governo e del Parlamento svedesi e il denaro ottenuto dalla vendita dell’insegna sarebbe servito a finanziarli. L’acquirente finale dell’insegna si troverebbe invece in Gran Bretagna, Francia o Stati Uniti e sarebbe un ricco discendente di gerarchi tedeschi con l’intento di far sparire dalla circolazione un simbolo sotto il quale, negli anni Quaranta, si compì la strage di oltre un milione di deportati, per la maggior parte ebrei.
Tutto è avvolto nel mistero. Perché?
