Estonia: la battaglia della lingua arriva nelle scuole. E cerca di eliminare il russo

Nei corridoi delle scuole estoni, si aggira uno strano personaggio inviato dal Ministero. E’ vestito bene ma senza dare nell’occhio, con grigia sobrietà, proprio come un funzionario. Una volta entrato nel ginnasio, nell’istituto che deve ispezionare, il funzionario non si dirige mai verso l’ufficio del preside, né si preoccupa di esaminare la qualità dei locali. Con pazienza bussa alle porte di tutte le aule dell’istituto. Senza nemmeno guardare gli studenti, chiede semplicemente qualche minuto ai professori, i quali, il più delle volte, rispondono visibilmente tesi.

Di cosa si parla col funzionario? Di nulla di importante, qualche convenevole, poche innocenti domanda sulla didattica. Mi dica, quale sono le sue materie? Da quanto tempo lavora qui? Come prepara le lezioni? I professori rispondono ma molti sono a disagio. L’ispettore non sembra molto interessato alle risposte. Pone le stesse domande tutti i giorni, e non si interessa mai veramente a quello che i professori dicono. Lui è qua per vedere come lo dicono. Attenzione alla grammatica, l’ispettore della lingua è arrivato.

L’Estonia è un piccolo paese, un ex-repubblica sovietica, affacciata sul mar Baltico. Dal giorno della sua indipendenza ha lanciato una battaglia linguistica per elevare lo statuto della sua lingua locale e per marginalizzare la lingua del colonizzatore, imposta per decenni, il russo. Questa decisione ha trasformato le scuole in campi di battaglia dove la politica conduce la sua “questione della lingua”. Una questione non di poco conto, quando si considera che i russofoni nella piccola repubblica baltica sono il 30 per cento della popolazione, e che la percentuale supera questa soglia in diverse aree del paese, ivi compresa la capitale, Tallinn.

Oggi, il governo e il ministro della cultura hanno deciso di alzare di un livello la soglia della loro battaglia linguistica. L’ufficio preposto a questo compito, avanguardia dell’estonizzazione dei russi, ha un nome che è tutto un programma, e sembra uscito da un racconto di Kafka o di Buzzati: “l’ispettorato nazionale della lingua”. Questo istituto ha il compito di assicurare che le leggi linguistiche siano rispettate, nella fattispecie che tutti i funzionari mostrino di possedere una buona competenza dell’estone. Per adesso, l’Ispettorato non è esattamente un’invincibile armata di funzionari linguistici. Se ne contano ad oggi solo 18. Le pratiche messe in atto dell’istituzione hanno però destato qualche mal di pancia e perfino Amnesty International si è mossa per criticarla, definendo la sua azione come grave.

La tensione in Estonia sullo statuto della lingua rivela un dibattito che coinvolge altri paesi dell’ex blocco sovietico. La repubblica baltica non è, infatti, il solo paese in cui si è avviata una campagna di de-russizzazione della cultura e degli apparati statali. Per secoli, il russo, nella figura dello Zar prima, del presidente del partito poi, ha imposto la sua legge da Mosca a decine di milioni di abitanti di un impero vastissimo, Estonia compresa. La dominazione in queste terre è passata attraverso l’imposizione del russo come lingua ma anche attraverso spostamenti di masse umane. Quel 30 percento di persone che parlano russo in Estonia sono i discendenti della forza lavoro che Mosca inviò per “colonizzare” il paese straniero.

Oggi, che la Russia ha perduto il suo prestigio e la sua influenza, paesi come l’Estonia, ma anche la Georgia, ricostruiscono una loro identità nazionali, schiacciata per secoli dall’imperialismo russo, e lo fanno marginalizzando, come un tempo loro erano stati marginalizzati, le nutrite minoranze russe sparse ai quattro angoli dell’Asia e dell’Europa orientale.

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fmontorsi