La Terra ha la febbre: ciclo di eruzioni e terremoti, l’Etna si “carica”, “tossirà” presto

Etna

Prima i terremoti che hanno devastato il Cile e la Cina. Ora l’emergenza provocata dall’eruzione del vulcano Fimmvorduhals, sul ghiacciaio islandese Eyjafjallajokul, gigante che dormiva da quasi 200 anni: l’ultimo evento è datato 1823. Da qualche settimana è in agitazione anche l’Etna, con uno sciame sismisco che allerta vulcanologi e sismologi di tutto il mondo. La scossa più importante, di magnitudo 4.0, è stata registrata tra la notte del 2 e del 3 aprile sul versante nord-est del vulcano siciliano.

Per ora l’attività è limitata ai crateri sommitali, ma si tratta di un risveglio vero e proprio dopo il pericolo di “ricarica” cominciato più o meno un anno fa. Il terremoto sarebbe infatti l’evento di maggiore intensità di uno sciame sismico che è ancora in corso sul vulcano, come spiega Enzo Boschi, presidente dell’Istituto italiano di geofisica e vulcanologia (Ingv): «Lo stiamo monitorando da tempo e l’edificio vulcanologico si sta gonfiando». Il che fa presagire agli esperti la forte probabilità di una nuova eruzione nel giro di pochi mesi. Ma per l’Etna è una condizione normale: è più il tempo di attività che non quello della quiete.

Qualcosa, dunque, si muove sopra e sotto al superficie terrestre. Frane alluvioni, terremoti, eruzioni che si susseguono da un lato all’altro del pianeta, ne costituiscono la prova concreta. C’è un filo rosso che lega questi fenomeni: la terra è un pianeta vivo con regioni “giovani” di grande attività. Terremoti ed eruzioni vulcaniche sono figlie dello stesso meccanismo, il movimento delle placche o “zolle” rigide in cui i geologi hanno suddiviso la parte più superficiale della Terra (la crosta), e i cui confini sono individuabili con le linee lungo cui si addensano i terremoti.

Gli eventi sismici, in particolare, non si distribuiscono sulla Terra casualmente, ma si addensano lungo traiettorie più o meno ampie e sono assenti nelle altre zone. Le stesse linee lungo cui si trovano anche catene montuose, vulcani e dorsali oceaniche, cioè imponenti catene sotterranee, alte fino a 3000 metri, che si innalzano dal fondo degli oceani. Anche i vulcani non sono distribuiti in modo uniforme sulla superficie terrestre. Il 99% è concentrato in alcune aree particolari che tra l’altro sono sede anche di frequenti terremoti. Tra queste, le dorsali medio-oceaniche, quelle aree rilevate presenti sui fondali oceanici, che emettono soprattutto magmi basaltici i quali danno origine alla crosta dei fondali oceanici. La dorsale medio-atlantica affiora con l’Islanda sopra il livello del mare. A parte quella di questi giorni, una delle ultime eruzioni spettacolari verificatasi in Islanda e stata quella che ha dato origine all’isola di Surtsey nel 1963.

Le placche terrestri non sono ferme. Si allontanano, scorrono le une accanto alle altre o si scontrano. Ogni spostamento, ogni scatto provoca un evento sismico. Negli ultimi decenni il pianeta Terra ha dimostrato un particolare stato di agitazione. Il numero medio dei terremoti sta crescendo. Negli anni ’70 e ’80 quelli con magnitudo superiore a 6 erano in media un centinaio l’anno. Dagli anni ’90 in poi sono aumentati a 150. A quanto sembra siamo all’interno di un nuovo ciclo di cambiamenti che ha conseguenze maggiormente disastrose rispetto ai precedenti, quelli avvenuti agli inizi del ‘900 e fra gli anni ’30 e ’60. Il motivo è semplice. Nel tempo è aumentato il numero di abitanti della Terra, il traffico aereo, l’urbanizzazione. Dunque l’impatto di ogni fenomeno naturale sulla popolazione.

Sulla Terra i maggiori vulcani attivi sono, andando da ovest a est: l’Akutan (isole Aleutine), lo Shishaldin (Aleutine), il Kilavea (Hawaii), il Popocotepetl (Messico), il Cerro Negro (Nicaragua), il Soufriere Hills (isola caraibica di Monserrat), il Fogo Caldera (Capoverde), l’Etna (Sicilia), il Merapi (Giava), il Komagatake (Giappone), il Karymsky e il Keyuchevskoi (penisola russa della Kamchatka). Vi sono poi le eruzioni sottomarine in prossimità delle isole Marianne, il Rabaul Caldera, a Papua Nuova Guinea, il Ruapehu, in Nuova Zelanda. Senza dimenticare le eruzioni sottomarine nell’area dell’isola di Vanuatu e il Metis Shosl a Tonga. C’è poi la Cintura di fuoco circumpacifica, l’area meno tranquilla di tutta la Terra dove sono concentrati piu del 60% dei vulcani attivi e dove si sono registrati piu del 70% dei terremoti verificatisi tra il 1904 e il 1952.

L’Isalnda è terra di vulcani che si collocano su una linea che inizia nelle profondità dell’Oceano Atlantico e poi riemerge verso Nord: è la dorsale medio oceanica, una linea di frattura che sta aprendo sempre più in due l’Atlantico. Proprio il movimento delle due placche genera il vulcanismo che oggi si manifesta in tutta la sua spettacolarità.

Secondo l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, sul territorio italiano esistono almeno dieci vulcani o sistemi vulcanici attivi, considerati tali perchè hanno dato manifestazioni negli ultimi 10 mila anni: i Colli Albani, i Campi Flegrei, il Vesuvio, Ischia, Stromboli, Lipari, Vulcano, l’Etna, Pantelleria, l’Isola Ferdinandea. Solo Stromboli ed Etna sono, però, in attività persistente, ovvero danno eruzioni continue o separate da brevi periodi di riposo, dell’ordine di mesi o di pochissimi anni. Ma tutti questi vulcani possono produrre eruzioni in tempi brevi o medi.

Il vecchio Mongibello, l’Etna appunto, è il vulcano attivo più alto del continente europeo e uno dei più grandi del mondo. Ma è anche tra quelli più monitorati. Secondo la Protezione civile,  il tipo di attività dell’Etna è tale da rendere difficile la perdita di vite umane durante un’eruzione che sono infatti caratterizzate prevalentemente da attività stromboliana, effusione di colate laviche ed emissioni di ceneri. L’attività stromboliana, quella più pericolosa tipica del Vesuvio,  interessa generalmente un’area limitata intorno alla bocca eruttiva e di solito non rappresenta un fattore di rischio per i centri abitati. Adilà dei disagi notevoli alla circolazione aerea e stradale, causati dalle nubi, dai vapori sprigionate e dalle emissioni di cenere, il pericolo maggiore si presenta quando l’effusione di lava avviene da bocche che si trovano a bassa quota. In tal caso, il tempo per effettuare interventi di condizionamento dei flussi è ridotto ed è necessario ricorrere all’evacuazione della popolazione dalle aree minacciate.

Published by
Robertar