In Gb l’eutanasia rimane un crimine, ma non sempre è perseguito

LONDRA – Chi aiuta una persona malata a morire non rischia più di finire in prigione in Gran Bretagna. Lo riporta il Corriere della Sera, spiegando che negli ultimi 18 mesi sono stati almeno 30 i casi finiti sul tavolo dei procuratori che però hanno sempre deciso per l’archiviazione. I dati sono la prova di una nuova tendenza nella giustizia penale inglese. Nonostante il suicidio assistito rimanga illegale sulla carta, le linee guida, varate dalla procura generale nel febbraio del 2010, indicano chiaramente che se qualcuno agisce per compassione e aiuta un parente o un amico “che ha un chiaro, informato e deciso desiderio di morire” difficilmente sarà perseguito.

È il caso di Michael Bateman che il 29 ottobre del 2009 ha sostenuto la moglie Margaret mentre inalava elio nella sua casa a Birstall nel West Yorkshire. Nonostante ci fossero prove sufficienti al rinvio a giudizio si è deciso di soprassedere: “La signora Bateman – ha spiegato al Times Bryan Boulter, della Special Crime Division della Procura – soffriva da decenni di dolori cronici e voleva suicidarsi senza ombra di dubbio. È chiaro che il marito ha agito solo per compassione. Lui la amava grandemente e per anni si era preso cura della sua salute”.

La procura generale, guidata da Keir Stamer, aveva deciso di varare le raccomandazioni dopo un pronunciamento della Corte d’Appello sul caso di Debbie Ourdy, una donna malata di sclerosi multipla che voleva sapere se il marito sarebbe stato perseguito nel caso in cui l’avesse aiutata a morire. Un portavoce del Crown Prosecution Service, la procura generale britannica, ha però voluto sottolineare che la legge non è cambiata: “Il suicidio assistito – ha detto – rimane un crimine. Non stiamo aprendo la strada all’eutanasia scavalcando il Parlamento. Vogliamo soltanto che ci sia una chiara politica su quali casi perseguire e quali no”.

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Alessandro Avico