Ci sono monumenti che sono dei regali avvelenati del passato, pomi della discordia che mostrano le fratture sotterranee della memoria, i nodi della coscienza di una nazione. Forse, nel suo piccolo, è il caso anche per questa storia, quella dei palazzi della Stasi, la famigerata polizia segreta dalla Germania dell’Est, che per anni, decenni, controllò giorno per giorno la vita di migliaia di cittadini tedeschi, sospettati per principio da un regime chiuso e paranoico. I palazzi della Stasi si trovano in un quartiere periferico di Berlino Est. Come molti altri edifici dell’era sovietica giacciono oggi in uno stato di semi abbandono, aggravato da un periodo di crisi in cui non si trovano compratori ne affittuari, e dove mancano le risorse.
Oggi, però il governo di Berlino ha infine tirato fuori il portafoglio per mettere fine ad uno stato di quasi decadenza di questi palazzi. Se però i palazzi fossero interamente abbandonati tutto sarebbe facile. Il problema è che almeno uno di questi è occupato e gli occupanti, in regolare contratto con lo stato, non hanno intenzione di sgomberare. Questi hanno gestito negli ultimi 20 anni un intero piano del cosiddetto palazzo numero 1, glu uffici personali di Erich Mielke, il temuto plenipotenziario che diresse i servizi segreti ininterrottamente dal 1957 fino alla caduta del muro di Berlino nel 1989.
Negli uffici dell’ex dirigente stalinista, alto luogo della memoria della Germania, da quasi due decenni ha sede un piccolo museo, diretto da Jörg Drieselmann. Jörg è stato in passato un’attivista politico, ancora adolescente è stato imprigionato in Germania dell’Est, e in seguito rilasciato ed espulso nell’Ovest grazie all’intervento del governo federale. Qualche settimana fa, l’ex teen-ager ribelle ha ricevuto una lettera dal municipio di Berlino con su una data: quella entro la quale lui, i suoi assistenti, e tutto il materiale del museo dovranno essere evacuati, per permette la ristrutturazione dei locali.
Il governo tedesco ha deciso, dopo anni di incuria, di riprendere in mano la partita della memoria. E’ paradossale ma la Germania, dove il passato storico nazionalsocialista è vissuto con enorme partecipazione, ha trascurato l’elaborazione della memoria socialista dell’Est del paese. Oggi, le cose stanno cambiando. Il film premio Oscar “La vita degli altri” è stato il primo capolavoro artistico dedicato alle rivisitazione di quel periodo. Il governo, da parte sua, ha infine avviato un processo parallelo. L’obbiettivo è anche quello di colmare una lacuna. Per i turisti che ogni anno visitano a milioni la capitale tedesca sono tre le principali attrazioni che ripercorrono gli anni del socialismo reale e delle due Germanie: il museo del Muro al check-point Charlie, un colorato museo sulla vita a Berlino Est, e dei tour guidati nella città a bordo di Trabant d’epoca (la famosa auto del popolo, affettuosamente chiamata Trabi). Tutte iniziative portate avanti da privati e che non tentano una ricostruzione storica oggettiva, una rielaborazione, ma che vogliono inscenare “un viaggio” nella storia, con tutte le ricadute nel pittoresco che questo concetto può avere.
E così, il municipio di Berlino ha deciso; creare un nuovo spazio della memoria. Ed è qui che iniziano tutti i problemi, perché Jörg Drieselmann e gli altri attivisti che da anni portano avanti un loro personale percorso di rielaborazione contestano che sia proprio lo stato federale ad essere il più accreditato per interpretare senza partigianerie la storia della Germania dell’Est. Temono inoltre che le attività di rinnovamento possano alterare gli ambienti, conservati durante tutti questi anni con cura e meticolosità (sono rimasti perfino gli orologi ai muri). Senza dubbio, molti palazzi del complesso cadranno giù, vittima del pragmatismo della politica e di un mercato immobiliare con tanta offerta e poca domanda. Sicuramente, assicurano a Berlino, il palazzo numero uno, dove si trovavano gli uffici di Mielke, già oggi protetto dallo status di monumento storico, resterà in piedi. Per gli altri edifici del complesso si vedrà. La storia fa le sue vittime, di cemento e mattoni, anche a distanza di anni.
