MILANO – Un medico spagnolo è stato otto mesi in carcere per un reato che non ha mai commesso. Semplice scambio di identità che lo ha costretto ad essere prelevato nella sua abitazione in piena notte con l’accusa di essere un narcotrafficante, lo hanno costretto all’estradizione e poi a passare in carcere ben 248 giorni. Il tutto a seguito di una condanna definitiva a 15 anni di carcere per un processo di cui non era mai stato informato.
E il bello, o l’ironico della storia, è che l’osteopata spagnolo è stato scambiato per un narcotrafficante chiamato “el Gordo” per la sua corporatura tozza, di carnagione olivastra e con una figlia. Peccato che il medico sia magro, di carnagione chiara e abbia un figlio. E non sia mai stato in Italia. Ma il furto del suo passaporto gli è costato otto mesi di carcere. Ora che la giustizia italiana si è accorta dell’errore lo risarcirà con 85.000 euro a ristoro di 248 giorni di detenzione dal 17 aprile al 21 dicembre 2009.
Scrive ‘Il Corriere della Sera’, che il medico non ha mai saputo di essere nemmeno indagato fino al momento dell’arresto e dell’estradizione. Semplicemente perché nessuno glielo ha mai detto: le varie notifiche erano tutte fallite e così è da “contumace” e “latitante” in poco tempo divenne “condannato” a 15 anni in Tribunale il 17 gennaio 2007, in Appello il 4 dicembre 2007 e in Cassazione il 29 aprile 2008. L’8 agosto partono il mandato di cattura europeo e l’estradizione dalla Spagna.
Poi un giorno il miracolo. Racconta Luigi Ferrarella sul ‘Corriere della Sera’: “Nel carcere di Opera è vicino ad ammattire. Studia il processo che non ha conosciuto e legge che decisivo, per identificarlo nel «Gordo», fu l’incrocio tra le intercettazioni dei narcos e un controllo al casello di Carmagnola l’8 agosto 2000, quando i carabinieri di Monza identificarono, insieme a un italiano coinvolto nei traffici (M.B.), anche una persona che il passaporto indicava appunto «Piera Ripoll Vincent Josè, nato a Gandia (Spagna) il 31.10.1963», poi riconosciuto al Motel Ritz di Varedo il 26 settembre in un altro momento topico dell’indagine antidroga. Solo che non è lui. Ed è proprio a Opera, per un caso che ha il sapore del miracolo, che lo spagnolo scopre la ragione. Proprio lì c’è anche M.B., in detenzione domiciliare essendo diventato collaboratore di giustizia. E quando lo incontra, avvisa subito i carabinieri che lo spagnolo è lì per sbaglio: era l’osteopata dal quale si era recata la moglie di M.B. e al quale costui aveva rubato il passaporto, per poi consegnarlo al narcotrafficante «el Gordo» col quale era in affari“.
Ma anche a quel punto la questione non si sblocca subito. Racconta ancora Ferrarella: “Ma per gli avvocati Simone Briatore, Stefano Fratus e Antonino Gugliotta resta un’impresa perfino procurarsi quel passaporto per confrontare le foto: dal carcere non riescono ad averlo, e solo grazie a un carabiniere di Monza, S.M., finalmente diventa possibile il paragone che parla da solo, per quanto diversa è la faccia del magro spagnolo da quella del corpulento e olivastro «el Gordo» che girava col suo passaporto. Non basta ancora: il 17 dicembre 2009 la Corte di Appello gli nega la scarcerazione, ma per fortuna il Tribunale del Riesame il 21 dicembre 2009 accoglie il ricorso e libera lo spagnolo, che il 25 marzo 2010 vede la Cassazione finalmente annullare la condanna a 15 anni e aprire all’assoluzione in Appello il 27 ottobre «per non aver commesso il fatto», definitiva in Cassazione l’11 gennaio 2011″.
