ROMA – Ruzana Ibragimova detta Salima, 22 anni, Zaira Aliyeva, 26 anni, e Dzhannet Tsakhayeva, 34 anni: sono loro le “vedove nere” super ricercate nella Russia dei Giochi Olimpici Invernali di Sochi. Erano mogli di ribelli islamisti uccisi nella guerra silente ormai decennale tra Mosca e le repubbliche indipendentiste del Caucaso. Una guerra con cui Vladimir Putin fa i conti da quando è sceso in politica ma che aveva evidentemente sottovalutato, pensando di poterla nascondere sotto le opere da 51 miliardi di dollari dei Giochi più cari di sempre.
Dopo gli attentati a Volgograd e a Makhachkala, in Daghestan, la tensione è alle stelle. Sono state prese le massime misure di sicurezza negli aeroporti di mezza Federazione, non solo al sud ma anche a Mosca. Sono stati mobilitati i Cosacchi. Gli Stati Uniti hanno mandato 40 agenti dell’Fbi (pochi rispetto alle precedenti Olimpiadi, per volere della Russia) ma hanno detto di essere disposti a schierare forze aeree e navali al largo del Mar Nero. L’area dei Giochi sarà sorvegliatissima: turisti e giornalisti sono avvisati. Ma anche gli stessi atleti. La privacy non esisterà, dal 6 al 24 febbraio, nel Territorio di Krasnodar.
Nel frattempo Mosca ha diramato gli identikit delle “vedove nere” “addestrate per portare a termine atti di terrorismo”, si legge nel volantino, e ha lanciato la caccia all’uomo. O meglio, alle donne.