Ma qualcosa, negli ultimi giorni, deve essere accaduto perché Amina Sboui ha deciso, all’improvviso, di mollare e di cercare in Francia la tranquillità che ormai le veniva quotidianamente negata in Tunisia. Amina ha combattuto sino all’ultimo ed anche le sue più recenti provocazioni (l’ennesima foto a seno nudo con cui invitava gli integralisti islamici a tenersi la loro democrazia) sono state il segno della sua cocciuta determinazione ad andare avanti per difendere i diritti delle donne tunisine, sia delle ragazze come lei, che di quelle che, ormai mature, sono oggi confinate da tradizioni e consuetudini in una dimensione domestica chiusa.
Forse pensava che il suo esempio avrebbe spinto altre giovani tunisine a scendere in campo abbracciando il credo provocatorio di Femen, forse pensava di non restare sola nella sua campagna a favore dei diritti al femminile. Invece a spendersi per lei in Europa (ma anche in Nord America) sono state le attiviste di Femen, ma pochissime tunisine, in maggioranza le reduci di campagne femministe lontane nel tempo e che oggi qualcuno vuole cancellare in fretta. Ma Amina ha voluto marcare una differenziazione anche da Femen, nei metodi e nella trasparenza, cosa che le attirato gli strali della leader del movimento, l’ucraina Inna Shevchenko. Ora tutto sembra essere arrivato al capolinea, anche perché, dopo due mesi di permanenza in una prigione tunisina (non propriamente un hotel a cinque stelle), si sta avvicinando il giorno del processo per avere scritto ‘Femen’ sul muro di un cimitero di Kairouan, dove era andata per sfidare i salafiti. Amina non ha voluto svelare quali siano i suoi progetti, per il prossimo futuro. Forse resterà in Francia a fare veramente la studentessa; forse affila le armi per tornare in Tunisia. Dove, ricorda amaramente, c’è chi, impunito, l’ha minacciata di morte.