DONETSK – Gli scontri a Donetsk e al confine tra Ucraina e Russia non finiscono e in 5 giorni di conflitto, sommando i vari bollettini, sarebbero oltre 200 i morti accertati. Un’ombra di macabro orrore cala sul conflitto in Ucraina orientale, dove in serata si è accesa anche una battaglia fra in distaccamento di Guardie di Frontiera di Kiev e decine di ribelli per il controllo di Dyakovo, strategico passaggio di confine della regione di Lugansk, a un passo dalla Russia.
In un villaggio poco a nord di Donetsk alcuni contadini affermano di aver trovato una fossa comune in un bosco, con 10-15 cadaveri in stato di decomposizione. Secondo alcuni si tratterebbe dei corpi militanti del Donbass, molti di nemmeno vent’anni, che si erano rifiutati di combattere al fianco di Kiev.
Secondo altri, di vittime non accertate dei violenti scontri tra nazionalisti e ribelli per il controllo di un checkpoint il 23 maggio. Il tutto sullo sfondo di un conflitto che negli ultimi 5 giorni, sommando i bollettini delle due parti, avrebbe fatto ormai quasi 200 morti.
Il vasto fronte degli scontri muta di ora in ora, e avventurarsi nel villaggio per verificare la notizia è sconsigliato. Ai giornalisti ma anche agli osservatori Osce, per i quali le difficoltà aumentano di giorno in giorno. Un team scomparso ieri a Lugansk pare sia tornato alla base sano e salvo, mentre a Slaviansk altri 4 restano trattenuti. Il caso del villaggio, se confermato, come quello degli osservatori fermati quasi ogni giorno o dei giornalisti ‘scomodi’ che questa o l’altra parte mette all’indice squarciano intanto il velo sullo scenario che accompagna ogni guerra: la violazione dei diritti umani, i crimini contro l’umanità.
A Sloviansk dove è stato ucciso Andrea Rocchelli – a Pavia una folla di persone si è stretta al dolore della famiglia nell’ultimo saluto al fotoreporter italiano – il 30 maggio non si combatte, mentre solo il 29 maggio un colpo d’artiglieria ha centrato l’ospedale pediatrico. Fortunatamente non c’è nessuna vittima tra i bambini ricoverati, ma la situazione resta volatile nell’area.
E i ribelli avvertono: i soldati ucraini devono fare attenzione, se dovessero colpire i depositi di cloro usati per depurare l’acqua sarebbe vera e propria catastrofe, la stessa che dice di temere Kiev, preoccupata che i separatisi possano decidere loro di usare il cloro. Non è un’arma chimica, ma non di meno é letale. L’11 aprile in Siria nelle regioni di Hama e Idlib avrebbe causato almeno 7 morti e decine di intossicati.
Da Mosca, che il 29 maggio ha annunciato aiuti umanitari ai secessionisti della Repubblica popolare di Donetsk (che qui tutti chiamano con il suo acronimo Dnr), parte un’altra bordata: una commissione di inchiesta russa ha concluso che i governativi hanno violato la convenzione di Ginevra, colpendo volontariamente i civili con ogni mezzo a disposizione.
I ribelli rincarano la dose, parlando non solo di elicotteri, blindati e armi pesanti, ma anche di munizioni bandite come i micidiali proiettili a frammentazione. Vladimir Putin fa appello a uno stop dell’operazione militare di Kiev: appello già sottolineato a Matteo Renzi e oggi ribadito lungo il filo del telefono in un colloquio con Francois Hollande.
Il governo ucraino, da parte sua, ritorce le accuse: “Gli atti criminali dei nemici del popolo ucraino non resteranno impuniti”, ha tuonato il presidente eletto Petro Poroshenko, all’indomani dell’abbattimento da parte dei ribelli di un elicottero militare a Slaviansk, con un bilancio di 14 i morti tra ufficiali e soldati di Kiev.
“Dobbiamo fare tutto ciò che possiamo – ha detto Poroshenko – per assicurare che nessun ucraino muoia più per mano di terroristi e banditi”. E intanto la diplomazia di Kiev è tornata stasera a chiedere spiegazioni a Mosca per quella che denuncia come l’infiltrazione di uomini armati attraverso.
Ma non sembra una dichiarazione da interpretare come un passo verso una tregua immediata e duratura. Anche perché gli insorti non sembrano affatto decisi a sotterrare l’ascia di guerra. I leader ribelli hanno lanciato un ultimatum agli ucraini che controllano l’aeroporto: “lascino il nostro territorio o attaccheremo presto”, è il monito dei separatisti, convinti che nello scalo stiano arrivando rinforzi per i pro-Kiev.
Le ore scorrono, il 30 maggio il maltempo ha lasciato spazio al sole e il cielo si e’ aperto. E senza temporali i caccia di Kiev – chiamati in azione stasera a Dyakovo, ma in difficoltà a causa del buio – potrebbero tornare a colpire da un momento all’altro. Questa volta però l’aviazione dovrà fare i conti con le armi antiaeree del Battaglione Vostok, con i temibili ceceni che controllano un obiettivo simbolo: la sede del Palazzo ribelle, che si staglia imponente sulla città e che sarà difficile conquistare senza mettere nel conto un prezzo salato.