BIVONA (AGRIGENTO) – Due “loschi figuri” che si aggirano per il secondo piano di una scuola superiore. I professori si lamentano e il preside chiede spiegazioni al prefetto, ma si tratta di due carabinieri che scortano la figlia di un testimone di giustizia. E’ accaduto a Bivona, in provincia di Agrigento. La denuncia è partita dall’imprenditore edile Ignazio Cutrò, che ha detto no al pizzo e che grazie alle sue denunce ha fatto condannare cinque presunti mafiosi della Bassa Quisquina.
Cutrò ha una figlia di diciotto anni, iscritta all’Istituto tecnico Panepinto di Bivona. La ragazza ha raccontato che diversi insegnanti hanno stigmatizzato la presenza dei bodyguard. “Sono molto amareggiato – ha affermato l’imprenditore -. A quanto pare il fatto che mia figlia sia accompagnata a scuola dalla scorta non è gradito dai docenti. Dopo l’umiliazione provata da mia figlia nel sentirsi rifiutata, lancio un appello a chi è disposto ad accoglierla nella propria scuola. Sono disposto ad andare anche fuori dalla Sicilia. Mia figlia, per sua scelta, non metterà mai più piede nell’istituto”.
Dalla segreteria della scuola hanno confermato che è stata inviata in Prefettura la richiesta di chiarimenti per garantire la sicurezza degli studenti: “E’ necessario che il personale sappia chi entra e chi esce dall’edificio, inoltre ci devono segnalare per iscritto fino a dove possono arrivare gli uomini della scorta. Abbiamo bisogno di certezze”.
Il preside del Panepinto Giovanni Battista Salamone si è difeso: “C’è stato un difetto di comunicazione, perché né Cutrò né la Prefettura hanno comunicato l’esigenza della ragazza”. Salamone ha anche specificato che i professori non erano tenuti a sapere che la studentessa fosse sotto scorta, perché il padre ha denunciato il racket: “Qui ci facciamo i fatti nostri”.
*Scuola di giornalismo Luiss
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