ROMA – “Ciascun indizio risulta integrarsi perfettamente con gli altri come tessere di un mosaico che hanno contribuito a creare un quadro d’insieme convergente verso la colpevolezza di Alberto Stasi oltre ogni ragionevole dubbio”. Lo afferma la Cassazione nelle motivazioni delle sentenza di condanna di Stati per l’omicidio della fidanzata Chiari Poggi a Garlasco. La prima sezione della Cassazione il 12 dicembre 2015 aveva confermato la condanna a 16 anni emessa nell’appello bis.
Alberto Stasi, nell’uccidere la fidanzata Chiara Poggi, agì con “dolo d’impeto” e “senza alcuna programmazione preventiva”: la sua condotta va inquadrata “come risposta immediata o quasi immediata ad uno stimolo esterno“, scrive ancora la Cassazione nelle motivazioni della condanna di Stasi. Per quanto riguarda l’aggravante della crudeltà, non contestata a Stasi, i giudici citano il principio fissato nel processo a Parolisi per l’omicidio di Melania Rea. Stasi – scrivono i giudici – ha agito senza la volontà di “infliggere alla vittima sofferenze aggiuntive”.
Nelle motivazioni – in 115 pagine – a fondamento della propria decisione, la Cassazione mette in rilievo il percorso logico sul quale la Corte d’appello di Milano ha fondato la condanna nel processo bis. In primo luogo Chiara Poggi è stata uccisa da una “persona conosciuta, arrivata in bicicletta”, che lei stessa ha fatto entrare in casa. E chi vi ha fatto ingresso conosceva bene la villetta, “come desumibile anche dal percorso effettuato all’interno delle stanze del piano terra”. Alberto Stasi – scrivono i giudici – “ha fornito un alibi che non lo elimina dalla scena del crimine nella finestra temporale compatibile” con l’omicidio.
Il giovane, allora studente della Bocconi, “ha reso un racconto incongruo, illogico e falso, quanto al ritrovamento del corpo senza vita della fidanzata, sostenendo di aver attraversato di corsa i diversi locali della villetta per cercare Chiara; sulle sue scarpe – evidenziano – tuttavia non è stata rinvenuta traccia di residui ematici, né le macchie di sangue sul pavimento sono risultate modificate dal suo passaggio”. La Cassazione ricorda anche che “Stasi non ha mai menzionato, tra le biciclette in suo possesso, proprio la bicicletta nera da donna” collegata alla ‘macrodescrizione’ delle due testimoni. C’è poi il fatto che “sul dispenser del sapone liquido, utilizzato dall’aggressore per lavarsi le mani dopo il delitto, sono state trovate soltanto le impronte dell’anulare destro di Alberto Stasi, che lo individuano come l’ultimo soggetto a maneggiare quel dispenser”; e anche la certezza che “l’assassino era un uomo che calzava scarpe n.42″ ed Alberto possedeva e indossava anche scarpe della marca di quelle dell’aggressore, nonché di taglia 42”. “Tale quadro – ne concludono i giudici – non lascia alcuno spazio a versioni alternative, dotate di razionalità e plausibilità pratica” e quelle proposte dalla difesa dell’imputato non sono “sostenibili”.
L’andamento delle indagini sull’omicidio di Chiara Poggi, a Garlasco il 13 agosto 2007, fu “senz’altro non limpido, caratterizzato anche da errori e superficialità”. Lo afferma la prima sezione penale della Cassazione nelle motivazioni della condanna di Alberto Stasi. In particolare, secondo i giudici “la scelta ‘anomala’ di non sequestrare nell’immediatezza la ‘bicicletta nera da donna’ della famiglia Stasi” è “stata correttamente individuata come un evento che avuto indubbie ripercussioni negative” sulle indagini; la mancata acquisizione di tutte le bici della famiglia Stasi è senz’altro “un anello mancante”. Ma – secondo il collegio – nel vagliare gli indizi che hanno portato a ritenere Stasi colpevole ‘oltre ogni ragionevole dubbio’, la Corte d’appello di Milano nel processo bis si è correttamente fatta carico della “mancanza di tale tassello”, valorizzando gli altri elementi.