MILANO – Indagare su un “maschio” della cerchia delle amicizie di Chiara Poggi e che il 13 agosto 2007, giorno del suo omicidio, si trovava a Garlasco e il cui nome è già negli atti dell’indagine. Lo chiede la difesa di Alberto Stasi che, come spiegato in una conferenza stampa in Tribunale, ha in mano una relazione di un genetista, già depositata agli inquirenti, secondo la quale il dna trovato sotto le unghie di Chiara è compatibile con quello del soggetto “su cui indagare”. Chiesta anche la revisione del processo.
– I due difensori di Stasi, gli avvocati Fabio Giarda e Giada Bocellari, hanno spiegato che ora il caso andrà avanti su due binari: uno che coinvolgerà la corte d’Appello di Brescia per una eventuale revisione del processo e l’altro la Procura di Pavia per nuove indagini su questo giovane di cui si sono rifiutati di fare nome e cognome “nel rispetto della privacy e degli accertamenti perchè non vogliamo che accada quel che è successo ad Alberto”.
Gli avvocati hanno ripetuto di aver avviato le indagini difensive su richiesta della madre di Alberto, Elisabetta Ligabò, e di essere ripartiti da zero. Il pool difensivo ha riletto le carte processuali e, dopo un primo screening sui personaggi entrati in qualche modo nell’inchiesta, ha puntato l’attenzione su un giovane il cui nome compare nelle carte e sul quale “molte cose non tornavano”. Si trattava di una persona che gravitava a Garlasco, che conosceva Chiara e che la mattina del delitto poteva trovarsi nei paraggi della villetta dei Poggi. Al giovane, è stato poi prelevato un campione Dna isolandolo da un cucchiaino e da una bottiglietta d’acqua, “secondo i termini di legge”, ed è risultato “perfettamente compatibile” con quello maschile (riguarda tutti gli uomini di un ceppo familiare) trovato sul materiale ungueale (estratto con la tecnica cosiddetta ‘a lavaggio’ disposta nel rinnovamento del dibattimento nel processo di appello ‘bis’) di due dita di Chiara. “Quel reperto genetico – hanno aggiunto rispondendo alle domande dei cronisti – non era utilizzabile scientificamente ai fini del confronto con Stasi” in quanto i marcatori sovrapponibili erano 5 e non raggiungevano dunque il numero necessario cioè 9.
“Si poteva invece comparare – hanno continuato – con il nuovo soggetto” individuato a “colpo sicuro”. “Le modalità con le quali è stato effettuato il prelievo e il confronto del Dna sono in una relazione di un noto genetista, di cui non vogliamo dire il nome, al quale abbiamo fornito i dati grezzi. Deciderà l’autorità giudiziaria se tutto ciò scagiona Alberto Stasi. Mentre è spiegabile che ci siano sue tracce, non è spiegabile che ci siano tracce di un altro giovane”. “Ora confidiamo che l’autorità giudiziaria apra una nuova indagine e vagli questi elementi – parlano sempre Fabio Giarda e Giada Bocellari – nel più breve tempo possibile perchè qui ci sono due famiglie che soffrono, quella di Alberto e quella di Chiara. Abbiamo tutti lo stesso obiettivo, arrivare alla verità”. I difensori hanno comunque già presentato istanza di revisione alla Procura generale di Milano che a sua volta trasmetterà l’incartamento alla corte d’appello di Brescia
Le nuove rivelazioni lasciano però fredda la famiglia e i legali della vittima. Rita Preda, la mamma di Chiara Poggi, davanti alle presunte rivelazioni della difesa si è limitata a chiedere ai difensori di Stasi di “fare un nome”. Senza quel nome, che al momento non sembra esserci, e senza elementi davvero nuovi, per la famiglia la verità continua a essere quella processuale, quella della colpevolezza di Alberto Stasi. E quel nome, almeno per ora, la difesa non lo fa.
Anche perché, in verità, non è certo la prima volta che viene tirata in ballo la questione del dna sotto le unghie. Si tratta di questione tecnica e complessa e i risultati dell’esame su quelle tracce, valutati in tutti i gradi di giudizio, non sono stati ritenuti né univoci né determinanti. Insomma, a meno di un reale colpo di scena, e di una incontrovertibile evidenza, difficilmente la questione unghie sembra sufficiente a giustificare la revisione di un processo che è stato caratterizzato da tanti colpi di scena e sentenze tra loro discordanti.
Alberto Stasi è detenuto nel carcere di Bollate da un anno. Oggi ha 34 anni, all’epoca dei fatti ne aveva 24. Il 12 dicembre del 2015 la Cassazione ha confermato nei suoi confronti la condanna a 16 anni per omicidio, mettendo la parola fine a una vicenda processuale durata 9 anni, nel corso della quale Stasi è stato anche due volte assolto. Ora il caso potrebbe riaprirsi.