
ROMA – Anfetamine e oppio: così dopano gli immigrati dell’Agro Pontino. Il Manifesto. Per lavorare dalle 12 alle 15 ore nelle campagne intorno a Sabaudia, centinaia di immigrati a 4 euro l’ora, in prevalenza sikh del Punjab indiano, sono costretti ad assumere stupefacenti per allentare i morsi della fatica: ovetti di amfetamine e oppio essiccato a 10 euro, spacciati da padroni e caporali per impedire cali di produttività. A fine febbraio i finanzieri di Sabaudia hanno sequestrato 6 chili di bulbi di papavero e 300 grammi di amfetamine nascosti nei cassoni della frutta; altri tre chili sono stati trovati nel bagagliaio di un’auto, a Terracina una piccola coltivazione di papavero da oppio. Sono gli italiani che vendono magari utilizzando qualche bracciante per il dettaglio.
“Per la raccolta delle zucchine stiamo piegati tutto il giorno in ginocchio. Troppo lavoro, troppo dolore alle mani. Prendiamo una piccola sostanza per non sentire dolore”: la testimonianza di K. Singh, insieme a quella di molti suoi connazionali è stata raccolta da Marco Omizzolo, un giovane sociologo che ha impiegato anni per ottenere la fiducia e le confidenze di questa comunità sulla quale ha realizzato un dossier per la onlus In Migrazione.
12mila sikh registrati, ma una stima più attendibile contando i moltissimi clandestini dice 30mila: dopo Novellara in Emilia si tratta della più grande comunità sikh italiana. L’uso della droga è vietatissimo, il vincolo religioso è potente, la mortificazione, però, non basta a vincere la fatica.
Eppure si tratta dell’unico modo per sopravvivere ai ritmi di lavoro»: dodici ore al giorno a seminare, dissodare, raccogliere, spruzzare veleni. Per quattro euro l’ora, nel migliore dei casi, spesso costretti a subire torti, angherie e vessazioni dai datori di lavoro, a volte non pagati per mesi come sta accadendo a un gruppo di una trentina di lavoratori-schiavi che reclamano un salario che non arriva da sei mesi. Una situazione non dissimile a quelle di Rosarno, della Capitanata e degli altri luoghi dello sfruttamento delle braccia in agricoltura. (Angelo Mastrandrea, Il Manifesto)
