SASSARI – Sei anni fa aprì la porta al suo stupratore: per questo una donna di 80 anni non avrà diritto al risarcimento. La colpa è anche sua, secondo l’Avvocatura dello Stato, che le ha negato l’assegno. Il suo violentatore avrebbe dovuto risarcirla, così come stabilito dal Tribunale, con 30 mila euro. Ma in quanto nullatenente, non ha mai provveduto a corrisponderle la cifra.
Per questo i legali dell’anziana hanno citato in giudizio la Presidenza del consiglio dei ministri, in virtù di una direttiva europea del 2004 che in caso di insolvenza del responsabile impone al Paese di residenza di garantire un indennizzo a chi abbia subito un crimine violento. Come da copione, l’Avvocatura di Stato si è opposta, sollevando mille eccezioni. Ma fra tutte spicca quel “concorso di colpa” che oltre al danno non risarcito, evidenzia la beffa del caso.
Aver aperto la porta e fatto entrare in casa lo sconosciuto che l’ha aggredita, picchiata e violentata, prima di scappare e costringerla a mettere in lavatrice le lenzuola con le tracce dell’odioso crimine, equivale, secondo l’Avvocatura dello Stato, a concorso di colpa. Come a dire: chi è causa del suo male pianga sé stesso.
Motivazione assurda quasi quanto la famigerata sentenza della Cassazione del 1999: quella che stabilì che non c’è stupro se la donna indossa i jeans, a lasciare intendere che se non ci fosse stata “la sua fattiva collaborazione mai alcuna violenza intima avrebbe potuto esserle usata”. Così scrivevano i giudici della Cassazione nel 1999. Nel 2013 accade di nuovo che una donna, per di più anziana, sia vittima due volte, della malvivenza prima e della malagiustizia poi. L’ultima parola comunque spetta al giudice di Cagliari, Gabriella Dessì, che nei prossimi mesi dovrà pronunciarsi sul caso.
Per l’Avvocatura, però, la donna non ha diritto ad avanzare la richiesta anche per altre ragioni. La direttiva europea, dicono, sarebbe infatti rivolta solo a chi è vittima di reati commessi fuori dai confini nazionali. E il reato di violenza sessuale non è neppure contemplato tra quelli previsti dalla suddetta direttiva, applicabile invece alle vittime di terrorismo, criminalità organizzata, estorsione e usura.
Era il 2007 quando in un’abitazione del quartiere di Monte Rosello, un giovane riuscì a farsi aprire la porta dall’ignara signora. La minacciò, la picchiò e infine la violentò. Il giudice lo dichiarò mentalmente infermo e lo condannò a quattro anni per violenza sessuale aggravata, violazione di domicilio e violenza privata. Dopo un breve periodo in carcere, il giovane finì in una casa di cura psichiatrica. Ora è libero. Il giudice lo aveva condannato anche a versare 30 mila euro alla donna, a titolo di risarcimento provvisionale. Soldi che le sono mai stati corrisposti. Avrebbe potuto intentargli causa in sede civile, ma non sarebbe servito a nulla dal momento che l’imputato è nullatenente. Per questo ha chiesto allo Stato, ma la risposta è stata ancora più imbarazzante.