ROMA – La storia è raccontata dal Corriere della Sera e dal Giornale. Un asilo comunale di Milano (per la precisione quello di via Toce, quartiere Isola) avrebbe deciso di annullare i festeggiamenti della festa del papà, tradizionalmente in programma il 19 marzo, per “non offendere le famiglie gay”.
L’assessorato all’Educazione del Comune ha chiarito al Corriere della sera (che riportava la notizia sotto il titolo: “I genitori gay e la festa del papà abolita dall’asilo”): “Mai fatto disposizioni relative a regali o feste per le giornate del papà e della mamma. Si tratta di iniziative gestite in base alla discrezione, alla libertà didattica e alla sensibilità delle educatrici”.
L’articolo di Nino Materi del Giornale:
Fatto sta che ieri mattina una telefonata è arrivata al Giornale. Dall’altro capo del telefono una «mamma allarmata» per quella che ha definito una «decisione scandalosa», ma che a noi appare solo uno dei tanti atteggiamenti paradossali del politically correct che, come in questo caso, raggiunge vette tragicomiche. Un filone che soprattutto in asili e scuole elementari trova un particolare brodo di coltura (ma, un po’, anche di cottura). Di esempi ce ne sono tanti: dal divieto dei simboli natalizi (presepe, canti, recite) per «non offendere le altrui sensibilità religiose» ai menù differenziati nel «rispetto delle altrui culture gastronomiche»; dai corsi di lingua araba destinati agli alunni italiani per «meglio integrarsi con i compagni stranieri» (scusate, ma non dovrebbe essere il contrario? Cioè con i bimbi stranieri che dovrebbero imparare l’italiano per «meglio integrarsi» con i compagni italiani? ndr) al divieto di esporre i crocifissi nelle aule scolastiche. Nulla di strano allora se in tempi di stepchild adopstion i responsabili di un asilo siano terrorizzati dall’idea di far preparare ai bambini letterine e piccoli doni da regalare il 19 marzo ai papà. Al solito genio di turno che siede dietro la cattedra non sarà parso vero di essere più realista del re, ponendosi un «problema» inesistente. Un quesito assurdo in precario equilibrio tra il lettino dello psicanalista e il divano del salotto radical chic: e se uno dei bimbi, invece di avere un solo papà, ne ha due? E se, invece di avere una sola mamma, ne ha due? In altre parole, come la mettiamo se un bimbo è figlio di una coppia gay o lesbica? Visto che su questo fronte la burocrazia ha tirato fuori la «brillante» idea di chiamare i due genitori con i «simpatici» nomi di «genitore 1» e «genitore 2», a che serve andare ancora dietro a una parola tanto desueta come «papà»? Figuriamoci stare lì a perdere tempo con la sua «festa»… Risultato: azzerate letterina e regalini per il padre- «fantasma». Se ne riparlerà quando verrà istituita la «festa del genitore 1». Da non confondersi con la «festa del genitore 2». Nel dubbio, auguri a entrambi. E, soprattutto, ai loro eventuali figlioletti.