Bimba cinese muore in laboratorio clandestino per esalazioni nocive

Sarà l’autopsia a fare chiarezza sulla cause della morte di di A. K., la bambina cinese di 11 anni, morta in un laboratorio clandestino nei pressi di Corridonia Macerata. Il decesso potrebbe essere dovuto ad esalazioni nocive, sprigionatesi nello stabilimento dove si producono tomaie da scarpe.

In un primo momento si era parlato di una morte per folgorazione, avvenuta mentre la piccola stessa era al lavoro. Uno scenario che però, al momento, non avrebbe trovato riscontri negli accertamenti condotti dai carabinieri.

Nello stesso opificio i militari hanno scoperto letti e suppellettili, utilizzate dai cinesi che lavoravano e vivevano in locali vicini nel laboratorio in precarie condizioni igieniche. Sembra che anche A.K. abitasse insieme ai connazionali, ai genitori e a due fratellini più piccoli in quegli alloggi di fortuna. La famiglia però era in regola con il permesso di soggiorno e la bambina andava a scuola.

È certo, invece, che nel pomeriggio di ieri 1 dicembre si è sentita male mentre era nel laboratorio: secondo l’avv. Daniele Mantella, che rappresenta i familiari, gli altri cinesi, non conoscendo l’italiano, non hanno potuto chiamare il 118 e hanno telefonato al padre che stava lavorando altrove.

Quando i genitori sono arrivati A.K. era agonizzante: la coppia si è precipitata in strada con la figlia in braccio, avvolta in una coperta. È stato un camionista a dare l’allarme, ma all’arrivo dell’ambulanza l’undicenne era già morta. Per il segretario della Cisl provinciale di Macerata Aldo Benfatto si tratta di «un episodio gravissimo, che dimostra che con queste organizzazioni clandestine si rischia di far tornare all’800 le condizioni di lavoro degli operai. E questo è intollerabile».

Il sindacato teme che «vengano calpestati i diritti fondamentali delle persone, creando una moderna schiavitù. Chiediamo alle imprese italiane di non affidare più il lavoro a chi non rispetta non tutte le regole e sfrutta il lavoro minorile».

Lo riporta l’Ansa.

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Lorenzo Briotti