Per la Cassazione dire bimbominkia è diffamazione aggravata. O meglio lo è se lo si usa su internet, perché definisce una persona con un quoziente intellettivo sotto la media e l’offesa è aggravata dal mezzo di pubblicità, che un social network come Facebook offre.
Bimbominkia, il caso nato dalla querela dell’animalista Enrico Rizzi
La sentenza della Cassazione giunge al termine di un processo partito con la querela dell’animalista trapanese Enrico Rizzi, molto attivo sui social e occasionalmente ospite in tv, che a sua volta era stato condannato a versare quasi sessantamila euro per aver dato del “vigliacco” e “infame” al presidente del Consiglio regionale del Trentino Alto-Adige Diego Moltrer a causa del suo appoggio alla cattura dell’orsa Daniza nel 2014.
Per tale ragione un’amica di Moltrer aveva definito Enrico Rizzi un “bimbominkia” su un gruppo di Facebook che conta 2297 iscritti. L’uso dell’epiteto, per la Cassazione, non rientra nel diritto di critica, perché va al di là del requisito della continenza richiesto per applicare la scriminante.
Che significa “bimbominkia”
Secondo Wikipedia, il termine bimbominkia “indica un utente, spesso adolescente, di scarsa cultura e capacità linguistica. Si esprime con un linguaggio basato su errori sintattici e grammaticali, colmo di anglicismi spiccioli, frasi abbreviate da acronimi e decorate da emoticon e altri simboli virtuali. Si è inoltre soliti identificare come bimbominkia una persona dal carattere infantile, autoreferenziale, arrogante, eccessivamente attaccata alla tecnologia e abituata a pubblicare numerosi selfie sulle reti sociali”.