Reggio Calabria: quando gli applausi sono per il boss in manette e non per la Polizia

Una folla radunata davanti alla Questura di Reggio Calabria, pochi erano lì per caso. Prima un timido applauso, poi quella frase gridata più volte da lontano da una donna: “Tegano uomo di pace”. Scrosciano gli applausi, gli occhi delle persone si fanno più duri e il loro sguardo è rivolto alla polizia. Eppure Tegano non è un benefattore né un uomo finito in manette per un clamoroso errore giudiziario. Giovanni Tegano è uno dei boss più spietati della ‘ndrangheta calabrese, inserito nell’elenco dei 30 latitanti più pericolosi del ministero dell’Interno, ricercato dal 1993 secondo le carte ufficiali della magistratura, svanito nel nulla già dal 1986.

Ormai settantenne, responsabile di diversi omicidi e condannato a più ergastoli è stato arrestato ieri, dopo 24 anni. Stava lasciando gli uffici della Polizia per essere condotto in carcere quando i suoi sostenitori lo hanno accolto calorosamente per mostrargli tutta la loro solidarietà. Ha risposto persino con un sorriso, il boss. Un cenno di saluto, senza il minimo segno di tristezza, rabbia o pentimento. Forse un tacito ringraziamento per chi ha portato perfino i ragazzini sulle spalle per omaggiare il boss in disgrazia.

Perché c’erano donne e bambini ad accoglierlo, forse parenti, tanti amici.  Erano lì a salutare un uomo che deve scontare una condanna all’ergastolo per omicidio ma è destinatario anche di una serie di provvedimenti restrittivi per i reati di associazione per delinquere di tipo mafioso, traffico di armi e molto altro. “Un boss di “alto spessore della ‘ndrangheta”, come lo hanno definito gli investigatori che hanno voluto ricordare come il nome dei Tegano sia “legato a una guerra di mafia che ha mietuto tantissime vittime”.

E’ stato lui, infatti, uno dei protagonisti di quella faida tra cosche contrapposte durata dall’ottobre del 1985 all’estate del ‘91 che vedeva da una parte i De Stefano, Libri, Tegano da una parte e i Condello Imerti, Saraceno,  e Serraino dall’altra. Una “guerra” in cui furono uccise oltre seicento persone. Lo stesso Tegano che oggi, a 70 anni, è stato trovato in possesso di un marsupio con una pistola calibro 6,35, due caricatori, ventisette cartucce e un coltello a serramanico.

Eppure ad accogliere quell’ uomo c’erano centinaia di persone, c’è chi dice oltre cinquecento. Erano lì a gridare la loro rabbia alle forze dell’ordine che lo portavano via e non al “loro” boss, non a quell’uomo anziano con un completo di velluto verde e una camicia a quadretti, dall’aspetto distinto. Il Questore di Reggio Calabria, Carmelo Casabona si è detto “esterrefatto per gli applausi”, ha parlato di un “atto vergognoso”.

Forse le persone di fronte a quella Questura non erano 500, tra loro ci sarà stato qualche spettatore silenzioso, ma la sostanza resta, e conta. E’ facile allora il paragone con Palermo, che ha imparato a fischiare contro i corleonesi al passaggio di Bernardo Provenzano durante il suo arresto, anni fa. Ieri a Reggio Calabria, invece, quel moto d’orgoglio non c’è stato. Le grida dei sostenitori della mafia e l’ omertà di tutti gli altri hanno prevalso, e hanno colpito tutti. Durante l’arresto di uno dei boss più pericolosi ha vinto ancora il gioco sporco della ‘ndrangheta.

Reggio, però, non vuole tacere. La città non è rappresentata da quell’urlo, né da quelle parole. In Calabria sono tante le associazioni che si muovono e combattono contro la mafia, Libera in testa, e ieri stesso in serata la città si è mobilitata con un sit in promosso dall’organizzazione “Reggio non tace” proprio davanti alla Questura.

Lì dove in centinaia hanno lanciato il proprio sdegno verso lo Stato e la sua azione contro la criminalità, dove il latitante si è trasformato in un uomo di pace agli occhi di chi lo conosceva e lo voleva ancora, forse, al comando della propria comunità, al centro di equilibri ora stravolti. Lì dove i bambini salutavano sorridenti il boss assassino.

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giannattasio