ROMA – Tre parti al giorno da 3,90 euro: è la cifra destinata ai detenuti delle 206 carceri italiane. Una somma che rispecchia una quantità e qualità di cibo minima, e che ora non potrà più godere dei piccoli extra di “sopravvitto”, alimenti in più acquistabili dai detenuti.
Gli “ospiti” delle prigioni italiane infatti non possono più svolgere i lavori che consentivano loro di guadagnare un po’ di soldi: colpa dei tagli ai fondi di bilancio destinati a queste occupazioni. E così i detenuti non possono lavorare, non possono guadagnare, e quindi non possono neppure comprarsi da mangiare qualcosa di più rispetto ai tre pasti assicurati dallo Stato.
Un tempo, riferisce Giovanni Bianconi sul Corriere della Sera, i carrelli del vitto tornavano dai giri tra le celle ancora carichi di cibi non consumati, tanto che alcuni istituti offrivano gli avanzi alle persone libere bisognose. Adesso succede che il contenuto dei carrelli risulti addirittura insufficiente.
Per di più i tagli sulla spesa dei reclusi hanno provocato conseguenze anche sulle ditte appaltatrici che forniscono i pasti e le ricadute a catena hanno finito per avere conseguenze sulla qualità del cibo.
Già nel 2010 in una ventina di istituti ci sono state proteste legate alla qualità e alla quantità del cibo dato ai reclusi. Le proteste si sono ripetute nei primi mesi del 2011 in una decina di penitenziari, andando ad aggiungersi alle richieste di un minore sovraffollamento nelle celle.
Nel gennaio 2010 l’allora ministro della Giustizia Angelino Alfano, dichiarò lo stato d’emergenza per il sistema penitenziario italiano fino al 31 dicembre. All’epoca i detenuti erano 64.990, in carceri che avevano 44.066 posti. Ad oggi i posti sono aumentati di 1.506 unità, ma i detenuti di 2.520.
