ROMA, 15 FEB – La scusa dell'analfabetismo non regge quando con lo scarso livello di acculturazione si tenta di giustificare l'evasione fiscale. Lo sottolinea la Cassazione con la sentenza 5969 della Seconda sezione penale che ha condannato per falso in atto pubblico e truffa ai danni dello Stato un finto nullatenente siciliano che aveva dichiarato zero redditi per ottenere dal Comune di Palermo il diritto al beneficio dell'assegno familiare.
Senza successo, contro la condanna inflittagli l'8 febbraio 2011 dalla Corte di Appello del capoluogo siciliano, l'evasore fiscale – Antonio M. di 44 anni – ha cercato di convincere i giudici della Suprema Corte di non essere punibile in quanto la sua ''ignoranza della legge penale'' era ''scusabile'' data la sua condizione di analfabeta. La Cassazione gli ha replicato che nel redigere la dichiarazione sostitutiva di atto notorio aveva omesso di dichiarare il suo reddito da lavoro autonomo dall'imponibile gia' dichiarato, e non aveva, inoltre, fatto alcuna menzione dei beni immobili in suo possesso e degli ulteriori redditi familiari. ''La condotta è chiaramente dolosa – ha rilevato la Suprema Corte – non potendo certo Antonio M. ignorare di aver prestato attivita' lavorativa e di essere stato remunerato. In questo contesto la sua situazione di analfabetismo e' del tutto irrilevante, giacche' la dichiarazione aveva ad oggetto circostanza di fatto che egli comunque non poteva non conoscere. Non ricorre quindi l'errore scusabile''.
