Cassazione: vietato controllare i dipendenti con il Gps

Cassazione: vietato controllare i dipendenti con il Gps

ROMA – Cassazione: vietato controllare i dipendenti con il Gps. Il datore di lavoro non può utilizzare il Gps per controllare quello che fanno i dipendenti e se rispettano i compiti loro assegnati perché si tratta di un sistema di “controllo generalizzato che viene predisposto prima ancora dell’emergere di qualsiasi sospetto”, dunque il datore non se ne può servire nemmeno nell’ambito dei cosiddetti “controlli difensivi” per verificare la violazione degli obblighi contrattuali.

Lo sottolinea la Corte di Cassazione. Con la sentenza 19922 depositata oggi dalla Sezione lavoro, la Suprema Corte ha infatti respinto il ricorso della ‘Fidelitas spa’, grande agenzia di sorveglianza privata, contro la decisione con la quale la Corte di Appello di Venezia nell’aprile 2015 aveva confermato la illegittimità del licenziamento di un vigilantes in attività a Rovigo che, in base alle rilevazioni del sistema Gps montato sul veicolo utilizzato per la ‘ronda’ notturna, era risultato non aver effettuato tutte le ispezioni che aveva registrato nel rapporto di servizio.

In Cassazione i legali della ‘Fidelitas’ hanno sostenuto che “sussistevano tutti gli elementi per ritenere il controllo attraverso il sistema satellitare Gps un controllo difensivo e cioè diretto ad accertare l’illiceità della condotta del lavoratore, la verifica del comportamenti ‘ex post’, a seguito di fondati sospetti, e la funzionalizzazione del controllo alla tutela di beni estranei al rapporto di lavoro come il patrimonio e l’immagine dell’azienda, ciò valeva anche per il sistema ‘patrol manager’ che sostituiva il tradizionale bigliettino e serviva a verificare il corretto adempimento delle obbligazioni assunte dalla Fidelitas nei confronti dei clienti”.

La Suprema Corte – sentenza 19922, relatore Giuseppe Bronzini – ha respinto questa tesi “per tre concomitanti ragioni che esclusono che si possano ritenere legittimi i controlli effettuati”. In primo luogo, gli ‘ermellini’ rilevano che “il sistema di controllo attraverso gps installato sulle vetture in uso ai dipendenti è stato predisposto ‘ex ante’ ed in via generale ben prima che si potessero avere sospetti su una eventuale violazione da parte del lavoratore”.

Il verdetto sottolinea che quello in questione è “un meccanismo generalizzato di controllo che unitamente al sistema ‘patrol manager’ era in uso nell’azienda indipendentemente da sospetti o reclami dei clienti”. I sindacati, ricorda la sentenza, avevano autorizzato questo sistema in accordo con la Questura di Rovigo che lo aveva richiesto anche a tutela della incolumità dei vigilantes, “ma si era escluso che il sistema potesse essere utilizzato per controllare la loro attività lavorativa”.

In secondo luogo, i supremi giudici affermano che “se per l’esigenza di evitare attività illecite o per motivi organizzativi o produttivi, il datore può installare impianti o apparecchi di controllo che rilevino anche dati relativi alla attività lavorativa dei dipendenti”, tali dati però – in applicazione delle garanzie previste dallo Statuto dei lavoratori – “non possono essere utilizzati per provare l’inadempimento contrattuale dei lavoratori medesimi”.

La Cassazione, infine, osserva che “appare evidente che il controllo permesso dal sistema Gps sulle autovetture della società permetteva un controllo a distanza dell’ordinaria prestazione lavorativa, non la tutela di beni estranei al rapporto di lavoro”. In proposito, la sentenza spiega di non condividere la tesi datoriale secondo la quale erano “in gioco il patrimonio e l’immagine dell’azienda” dato che “eventuali pregiudizi sarebbero in realtà derivati solo dalla non corretta esecuzione degli obblighi contrattuali e non già da una condotta specifica quale appropriazioni indebite del patrimonio aziendale, furti, lesione della riservatezza dei dati societari etc.”.

“Diversamente opinando – conclude il terzo punto – si finirebbe per estendere oltre ogni ragionevole limite il concetto di controlli ‘difensivi’ perché quasi sempre la violazione degli obblighi contrattuali dei dipendenti può generare danni alla società (ed alla sua reputazione) che però costituiscono il ‘rischio naturale’ correlato all’attività imprenditoriale che la legge non consente di limitare attraverso sistemi invasivi della dignità dei lavoratori e comunque senza l’autorizzazione sindacale”. La reintegrazione del vigilantes licenziato per giusta causa era stata disposta anche in primo grado dal Tribunale di Padova nel 2014.

Published by
Warsamé Dini Casali