I sacerdoti della Chiesa della Santissima Trinità di Potenza sapevano. Il corpo di Elisa Claps, ritrovato “ufficialmente” lo scorso 17 marzo nel sottotetto dell’edificio, era stato già “avvistato” da tempo.
Fu il viceparroco Don Vagno – e non il parroco Ambroise Apakta, noto come don Ambrogio, come si era appreso in precedenza – a sapere nello scorso mese di gennaio dei resti umani presenti nel sottotetto della chiesa della Santissima Trinità di Potenza. Lo si è appreso da fonti investigative. Secondo gli inquirenti, il viceparroco fu avvertito dalle donne delle pulizie, che ora negano la circostanza, della presenza di resti umani.
Sul posto sarebbe stato notato un teschio. Non è chiaro in che fase il giovane Don Vagno abbia cercato di contattare l’arcivescovo: in ogni caso il sacerdote avrebbe riferito a monsignor Agostino Superbo di quel ritrovamento soltanto successivamente, quando i muratori hanno scoperto la salma attribuita a Elisa Claps. E l’arcivescovo denunciò la circostanza alla polizia.
Secondo il viceparroco della Trinità i sacerdoti sapevano del corpo della Claps da tre mesi. Lo avrebbero visto due donne delle pulizie a gennaio, e ne avrebbero parlato al parroco. Ma il condizionale è d’obbligo perchè le due signore, mamma e figlia, agli inquirenti hanno raccontato una verità completamente diversa.
Annalisa Lo Vito, la figlia, ha accusato apertamente i sacerdoti: “Il viceparroco della Santissima Trinità don Vagno ha mentito. Né io né mia madre abbiamo mai trovato quel cadavere e l’abbiamo detto ai magistrati di Salerno”. Quindi una precisazione sulla tempistica: “La prima volta che siamo salite su quel terrazzo è stata il 10 marzo”.
Dopo le accuse delle donne Don Vagno si è chiuso nel suo alloggio nel seminario e si rifiuta di parlare. Ancora silenzio quindi, sia da parte di Vagno sia da parte del parroco, don Ambroise Atakpa, conosciuto a Potenza come don Ambrogio. Un silenzio che, a questo punto della vicenda, fa pensare alla volontà di nascondere a tutti i costi una verità che è sfuggita di mano. Qualche scheletro nell’armadio, insomma, sembra esserci.
I due sono stati interrogati a Salerno. Quello che vogliono capire i magistrati è il perchè della mancata denuncia dell’avvistamento del corpo. Segreto confessionale? Non basta: un conto è rivelare un’identità, un conto è ostacolare la giustizia tacendo informazioni che non comporterebbero la riservatezza di nessuno. Don Ambrogio sapeva del corpo nel sottotetto e per tre mesi ha tranquillamente celebrato messa, confessato e svolto tutte le attività parrocchiali. Con un cadavere sulla testa, senza dire nulla. Perchè? Soprattutto: da quanto tempo i sacerdoti sapevano del corpo?
Dalla mischia di chi sa e non parla, intanto, ha provato a tirarsi fuori l’arcivescovo di Potenza, monsignor Agostino Superbo: “Ho saputo del ritrovamento del cadavere di Elisa Claps solo mercoledì mattina e ho subito avvertito la polizia. Di tale tempistica ho parlato sabato mattina con il Questore di Potenza, Romolo Panico, al quale ho indicato di parlare con il viceparroco della Santissima Trinità Don Vagno, perché ho avuto l’impressione che qualche aspetto della vicenda dovesse essere approfondito”.
Ma il caso Claps rimane un muro di omertà che non può non far riflettere. A cominciare da don Mimì, parroco della Trinità all’epoca della scomparsa di Elisa che è morto nel 2008 e, forse, non ha mai raccontato tutto quello che sapeva.
Chi non tace, invece, mente. Come Danilo Restivo, il principale sospettato dell’omicidio, condannato in appello proprio per falsa testimonianza. Il giorno della scomparsa della Claps, infatti, Restivo si procura un sospetto taglio alla mano e racconta di essersi ferito in un cantiere. E’ una bugia: la ferita è incompatibile con la dinamica raccontata dal ragazzo. Ora, con il corpo di Elisa si potrà capire qualcosa di più: se la ragazza si è difesa dal suo aggressore, per esempio, si potrà rintracciare del Dna.
Ma non c’è solo chi ha mentito. C’è anche chi non ha fatto il suo dovere fino in fondo. Non a caso l’inchiesta da Potenza è finita a Salerno proprio perchè sulla Procura potentina era stata aperta un’inchiesta per il modo in cui venivano svolte le indagini su Elisa. Più di qualcosa che non torna, in effetti c’è: Elisa scompare il 12 settembre 1993. Per interrogare Restivo gli inquirenti aspettano due giorni. Addirittura il ragazzo se ne va a Napoli per un concorso e torna in tutta tranquillità. A lungo, poi, si indugia sulla pista di un’improbabile fuga volontaria. Insomma un quadro fatto di errori, approssimazioni e, soprattutto, silenzi. Non solo: nonostante le bugie Restivo se ne va a vivere in Inghilterra, a Bournemouth dove, qualche anno dopo viene brutalmente uccisa la sua vicina di casa, Heather Barnett. Anche per la polizia inglese il sospettato numero uno è lui, Danilo Restivo, il ragazzo che a Potenza chiamano “il parrucchiere” per quella sua abitudine di tagliare ciocche di capelli alle ragazze sugli autobus.
Probabile, tra le altre cose, che Elisa sia stata uccisa altrove e poi messa nella Chiesa. Se così fosse è difficile che il killer abbia potuto fare da solo: o qualcuno lo ha aiutato a nascondere il corpo o non si deve parlare di assassino ma di assassini. Di certo, però, si è perso troppo tempo. La polizia, per bocca del capo Antonio Manganelli sul caso promette novità che porteranno “risposte a tante domande”. In attesa della verità sarebbe già qualcosa.