Cogne bis, la Franzoni in aula: sorridente, con un look sobrio, ma si commuove parlando di Samuele

Annamaria Franzoni

Tranquilla, sorridente, composta, cordiale con tutti e persino con il pubblico ministero, solo un po’ affaticata dal viaggio fatto per raggiungere il Palazzo di giustizia di Torino dal carcere di Bologna. Anna Maria Franzoni si è presentata così, alle 10:45, davanti al giudice che da mesi la sta processando per calunnia.

L’ultima volta in un’aula di giustizia era stata tre anni fa, sempre nel capoluogo piemontese. E anche oggi, come allora, ad aspettarla c’era un piccolo esercito di fotografi e operatori tv rimasti a bocca asciutta: per ordine del tribunale nessuno ha potuto riprenderne il volto. Del resto, Anna Maria non ha nascosto, nemmeno questa volta, il fastidio che le procurano gli obbiettivi: “Io seguirei di persona tutte le udienze – ha spiegato – ma il problema è il contorno”.

L’immagine che ha consegnato è quella di una persona schiva, che sopporta malvolentieri l’assalto dei media, che cerca di difendersi dalle accuse restando nel solco tracciato dalle carte processuali. Anche il look, più che casual, è minimalista. Anna Maria, senza manette ma vigorosamente portata per un braccio da un’agente (donna) di polizia penitenziaria, indossa una semplice polo blu, jeans chiari, scarpe da ginnastica. Niente trucco, niente anelli, niente monili, solo un orologio al polso; l’acconciatura è semplice, i capelli corvini le scendono sul collo senza fronzoli e una frangetta quasi le copre gli occhi.

Anna Maria sorride al pm che si alza per andare a stringerle la mano, fa ciao con la mano alle sorelle, lancia occhiate affettuose (ricambiate) al marito, Stefano Lorenzi, che a differenza di lei non si perde un’udienza. Potrebbe scomporsi ma non si scompone nel momento in cui giudice le chiede se ha due figli: lei accenna un sì, poi alza gli occhi al cielo come per rivolgersi a Samuele, sorride per l’ennesima volta e mormora “tre”.

Durante l’interrogatorio riesce persino ad essere brillante: “I consulenti svizzeri del professor Taormina? Beh, pensavo di essere in una botte di ferro. Erano svizzeri e quindi precisi, competenti …”. Ma c’é spazio, tanto spazio, anche per le lacrime. Quando ricorda Sammy, e la terribile fine del bimbo, la voce diventa un lamento, si trasforma in pianto. Quando ribadisce di essere innocente cerca di scandire bene le frasi, il tono si alza, ma le parole si incrinano. E quando parla del perché denunciò il vicino di casa, e deve parlare di Taormina, delle indagini difensive che si ritorsero contro di lei, sono di nuovo singhiozzi. E le lacrime, questa volta, sono di rabbia.

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