ROMA – Cristina Giberti ha 38 anni e la sua vita si intreccia, gioco forza, con quella di Beppe Grillo. La famiglia di Cristina è stata sterminata nel famoso incidente per il quale Grillo è stato condannato per omicidio colposo. E ora la donna denuncia: “Ho cercato di parlare con lui ma non mi ha mai voluta ascoltare”.
Cristina è stata intervistata da Vanity Fair e, dopo 32 anni, ha parlato per la prima volta pubblicamente di quell’incidente che costò la vita a suo padre, sua madre, suo fratello.
Vanity Fair ripercorre le tappe dell’incidente: il 7 dicembre 1981 quando Beppe Grillo è a Limone Piemonte, ospite dei Giberti. Renzo, suo vecchio amico, e la moglie Rossana con i figli Francesco, 9 anni, e Cristina, 7. Dopo pranzo decidono di andare a prendere il sole, per un paio d’ore, in quota, al Duemila, una baita raggiunta da una strada stretta e non asfaltata. Tutti salgono sulla Chevrolet di Grillo. Solo Cristina resta a casa per vedere un cartone animato a casa di un’amica. Quasi a destinazione, dietro una curva, un lungo lastrone di ghiaccio è la trappola mortale per la famiglia Giberti. L’auto slitta all’indietro, diventa ingovernabile, urta una roccia, si gira, cade con il muso nel burrone. All’ultimo momento Grillo riesce a spalancare la portiera e a buttarsi. Per i tre Giberti non c’è niente da fare.
Subito dopo c’è l’intervista, in cui Cristina ribadisce che Grillo non l’ha voluta incontrare: Ho anche telefonato al suo ufficio stampa: ho espresso il desiderio di un confronto privato, mi hanno promesso che mi avrebbero fatto sapere. Mi ha richiamato un nipote di Grillo: mi ha spiegato che tutta la sua famiglia aveva sofferto per l’incidente, che non era il momento di ritornare sull’argomento.
In passato, Beppe Grillo l’ha cercata?
«Mai. Non ho mai avuto occasione di sentirmi raccontare come sono andate le cose direttamente da lui, l’unico che possa davvero farlo. Mi conosceva bene, era amico dei miei, frequentava la nostra casa: come è possibile che in tutti questi anni non abbia mai sentito l’esigenza di vedermi, di chiedermi scusa, almeno di telefonare ai miei genitori adottivi per sapere come stavo?».