Cucchi, un detenuto: "In cella gridava: guardie, datemi il metadone"

ROMA – Quando si trovava nella cella del tribunale di Roma in attesa della convalida del suo arresto per droga, Stefano Cucchi passò molto tempo a battere sulla porta, chiedendo il metadone. La circostanza è stata resa nota, nel corso del processo, da un ragazzo che, anche lui arrestato, si trovava in una cella accanto in attesa dell'udienza.

''Ho sentito che batteva sulla porta chiedendo il metadone che stava prendendo – ha detto in aula – Diceva 'guardie, datemi il metadone'. Da un'altra cella, una voce femminile disse 'non li chiamare guardie, che è offensivo. Chiamali appuntato'''. Secondo il racconto dell'allora detenuto, dopo un'ora gli agenti della 'penitenziaria' aprirono la finestrella della cella.

''Chiesero a Cucchi cosa gli serviva – ricorda – Lui rispose che voleva il metadone, che gli avevano tolto la terapia. Poi lo portarono in udienza; in cella Cucchi non tornò più''. E' stato poi sentito anche Luigi Cuccurachi, l'agente della polizia penitenziaria che il 17 ottobre 2009, giorno successivo alla convalida dell'arresto, portò Cucchi dal centro clinico del carcere di 'Regina Coeli' in ospedale. ''Ricordo che stava sulla sedia a rotelle; gli infermieri lo poggiarono su una barella e lo portarono fino all'ambulanza. Lo vidi solo in faccia, era nero sotto gli occhi''.

L'incarico dell'agente era quello di portarlo all'ospedale 'Fatebenefratelli' per farlo visitare e aspettare la decisione dei medici. ''Cucchi lamentava in continuazione dolori alla schiena – ha detto Cuccurachi – Quando arrivammo in ospedale, il medico gli disse se voleva dire qualcosa, ma lui rispose che voleva solo parlare con l'avvocato. Il medico decise per il ricovero e inviò fax a tutti gli ospedali per cercare un posto. In serata ci dissero di portarlo all'ospedale Pertini''.

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Elisa D'Alto