Tarocchi: dentice, no pagro, pescespada, no squalo, baccalà, no halibut

ROMA – Pescespada? No squalo. Baccalà? No halibut. Ti accomodi al ristorante di pesce e chiedi un bel filetto di una cernia appena pescata: è facile che ti arrivi sul piatto un filetto di pangasio del Mekong. Di fresco c’è solo l’indicazione sul menù, il pesce è stato allevato Hai ordinato un piatto di vongole nostrane, non te ne accorgi, ma provengono dalla Turchia, o da più lontano, dal Mozambico. Secondo la Coldiretti tre piatti su quattro serviti al ristorante non sono affidabili, riservano sorprese in ordine a origine e qualità. Occorre un bollino di qualità, un marchio di origine anche al ristorante, non si capisce perché al mercato ittico o al supermercato è obbligatorio e sul menù si può scrivere quello che ti pare. E’ ciò per cui si batte Coldiretti Impresa Pesca, l’estensione dell’etichetta di origine ai ristoranti, la carta d’identità del pesce, dalla nascita alla tavola.

E’ importante nel 2011 importazioni di pesce e preparazioni a base di pesce sono cresciute dell’11%, superando i 4 miliardi di euro, per un consumo annuale in Italia di un miliardo di chili. In molti mercati del mondo non c’è la stessa attenzione alla sicurezza alimentare, spesso vengono usati antibiotici considerati nocivi e banditi in Italia. Il problema non è l’importazione di pesce o la crescita del business delle gabbie a mare per l’allevamento in sé: il problema è che molti ristoratori, stando alle cifre la maggioranza, spacciano pesce allevato al posto del fresco, pesce di importazione al posto del prodotto locale. Contano sul fatto che pochi clienti sanno veramente distinguere: chi è in grado di riconoscere la macchia rossa nascosta sulle squame in grado di restituire l’identità di un vero branzino italiano.

La spigola o branzino, si acquista ai mercati italiani come al porto di Anzio, a 47 euro il chilo, ci dice l’inviata del Corriere della Sera, se c’è stata burrasca, se i pescherecci son tornati praticamente vuoti. Al ristorante però la spigola c’è lo stesso, sempre: solo che magari è “tarocca”, nel senso che è allevata in gabbia o viene dalla Francia ed è tutta un’altra musica per il palato. Per tornare alla mistificazione sul piatto, al menù taroccato: il filetto di Brosme somiglia pericolosamente al baccalà, l’halibut dell’Atlantico si confonde con la sogliola, lo squalo sostituisce volentieri il pesce spada, il dentice è rosa come il pagro.

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Warsamé Dini Casali