
BERGAMO – “Fui molestato in seminario ma quella ferita non è mai guarita: lascio il sacerdozio”. A pronunciare queste parole dal pulpito della sua chiesa a Endenna è stato don Alessandro Raccagni. Sabato 15 marzo, al termine della messa pomeridiana, prima di congedare i fedeli, ha chiesto un minuto del loro tempo, ha tirato fuori un foglietto e ha letto di fronte a tutti la sua “lettera di dimissioni”. Ha raccontato di quando, ancora minorenne, nel Seminario di Città Alta a metà degli anni Ottanta, subì le molestie di uno dei preti ai quali aveva affidato la sua vocazione. Prima in termini generali, di ferite insanabili che ci si porta dietro per tutta la vita, di ragazzini che subiscono la violenza di persone nelle quali avevano riposto tutta la loro fiducia. Poi via via, aggiungendo particolari, di un seminarista che subì quegli abusi ma i responsabili rimasero impuniti. Infine l’annuncio: di volersi spogliare dell’abito talare, irrimediabilmente macchiato da quella “vergogna” inconfessabile.
“Appena abbiamo capito che parlava di se stesso è calato il gelo, siamo rimasti tutti in silenzio”, ha raccontato al Corriere di Bergamo una delle fedeli sedute tra i banchi della Chiesa di Santa Maria Assunta. Don Alessandro ha spiegato ai suoi parrocchiani di aver trovato il coraggio di uscire allo scoperto soltanto dopo la morte di sua madre perché non avrebbe mai potuto arrecarle così tanto dolore. Otto anni fa si affidò all’aiuto professionale di uno psicologo e poi all’affetto incondizionato di suo padre Guido, che sedeva in prima fila al momento della sua “pubblica confessione”.
Nei mesi scorsi si è più volte rivolto ai vertici della Curia per ottenere risposte che evidentemente non sono arrivate. Di qui l’intenzione di lasciare il sacerdozio. Il prete indicato come responsabile degli abusi si sarebbe ritirato in pensione in un quartiere alla periferia di Bergamo, e nessuno gli ha mai chiesto conto di ciò che avrebbe fatto. Ora dalla sua parte ci sono gli abitanti di Endenna che vogliono chiarimenti dalla Curia e dal vescovo. In 300 hanno firmato una lettera che è stata affissa sotto il porticato della chiesa.