La cronaca del resoconto del medico legale dice: “E’ stata colpita più di undici volte con un’arma compatibile con un coltello da cucina”. L’autopsia dice: “undici colpi di cui uno solo letale”. L’esame del corpo della bambina di cinque anni testimonia e denuncia che “la morte della bambina non è stata immediata”. Il tremendo, a solo pensarlo, quello che scarnifica e dissecca la mente e l’anima al solo immaginarli, è stato l’ultimo tempo in vita di Elena Del Pozzo, il tempo di capire che era la mamma che l’ammazzava.
Martina Patti e i suoi non ricordo
Agli atti delle dichiarazioni agli inquirenti i “non ricordo” di Martina Patti, la madre di Elena. “Non ricordo se ho sotterrato la bambina”. “Non ricordo di aver deciso di andare nel campo prima di uscire”. “Non ricordo dove ho messo il coltello”. Dice di essere andata a casa dei genitori dopo il delitto ma dice anche di averli incontrati per strada. Non ricordo e vaghezze a misura di una mente e di una mano assassina che però “non era in sé, era altra persona, c’era una forza dentro di me…”. Forse, probabilmente, troppo a misura. Troppo per non essere una voluta costruzione. Troppo per non collidere con la lucidità della premeditazione e soprattutto con la freddezza della preparazione dell’alibi: l’invenzione del sequestro, gli incappucciati, uno armato, addirittura uno dei rapitori che allude al padre di Elena. E ancora: il danneggiamento volontario e predisposto all’auto per dar prova dell’avvenuto agguato-rapimento.
L’agonia di Elena
Ma la vertigine emotiva in cui si è precipitati scorrendo questa cronaca non si arresta ad una madre che concepisce, prepara, attua l’omicidio della figlia bambina. Giù, molto più giù nella scala dell’intollerabile per chi ne viene a conoscenza, giù, molto più giù nella scala dell’inumano da vivere, è l’immaginare l’agonia di una bambina di cinque anni, il tempo in cui morire avendo il tempo di capire che ad ammazzarti è stata mamma e, forse, chiedere aiuto mentre muori alla mano che ti ha accoltellato, chiamare mamma, mamma forse l’ultima parola. Nessuna immaginazione può arrivare alla crudeltà infinita e totale di quella parola in quell’agonia di bambina.