ROMA – L’Eni è indagata per corruzione internazionale relativa alla vicenda dell’acquisto di un giacimento petrolifero in Nigeria. E’ la notizia che apre l’edizione del Fatto Quotidiano di venerdì 4 aprile.
Le cifre della vicenda sono significative: si tratta di un affare da 1,3 miliardi di dollari, che l’Eni ha concluso nel 2011 con il governo nigeriano. La tesi del Fatto, esposta da Marco Lillo in un lungo articolo, è che l’affare sia stato concluso a suon di mazzette. Per ora, però, l’Eni è semplicemente indagata. In una vicenda complessa che comunque risale a diversi anni fa e di cui BlitzQuotidiano aveva iniziato a dare notizia già dal 2009.
Eni non è infatti né l’unica né la principale protagonista di questa vicenda di corruzione. Denunciata e scoperta dagli statunitensi cinque anni fa partendo dal coinvolgimento presunto della Halliburton, la multinazionale texana a capo del consorzio che comprende Eni che ha definito l’acquisto del giacimento nigeriano.
Così sul Fatto Quotidiano Lillo riassume gli ultimi sviluppi:
Il primo era un avviso di garanzia per responsabilità di tipo amministrativo secondo il decreto legislativo 231 del 2001 nei confronti della società. L’ipotesi contestata è la corruzione internazionale e l’ENI è stata iscritta nel registro degli indagati perché la legge del 2001 estende alle persone giuridiche la responsabilità per reati commessi in Italia e all’estero da persone fisiche che operano per la società.
Il secondo atto notificato all’ENI è una richiesta di acquisizione di una lunga serie di documenti riguardanti l’accordo stipulato nell’aprile del 2011 con il governo nigeriano e anche le trattative intervenute nel 2009-2010 con la società Malabu.
Risulta indagato Gianluca Di Nardo, l’imprenditore legato da un lato all’uomo di affari che faceva da interfaccia con i nigeriani, Ebeka Obi e dall’altro a Luigi Bisignani, che garantiva un canale preferenziale grazie al suo amico: l’allora amministratore dell’ENI, Paolo Scaroni.
Come scritto da BlitzQuotidiano già nel 2011 si era arrivati ad una chiusura giudiziaria della vicenda:
La Snamprogetti Netherlands B.V., società coinvolta nella vicenda di corruzione internazionale al centro dell’udienza preliminare che si è tenuta oggi, 20 dicembre, in Tribunale a Milano, ha firmato un accordo con il Governo Federale della Nigeria per chiudere il procedimento giudiziario aperto dalle autorità nigeriane, con una sanzione pecuniaria di 30 milioni di dollari. Lo si legge in un comunicato di Eni e Saipem, la società che ha incorporato Snamprogetti Netherlands.
Lillo nel ripescare la vicenda parte invece dalle intercettazioni in mano alla Procura:
IN QUELLE intercettazioni emerge chiaramente l’intervento di Bisignani, attivato dal suo amico Di Nardo, su vertici dell’ENI di allora. Bisignani, che poi ha patteggiato nell’indagine P4 una pena di 19 mesi per associazione a delinquere e rivelazione di segreto, parlava al telefono con il suo compagno di partite a tennis Scaroni e anche con Claudio Descalzi. L’attuale amministratore delegato dell’ENI agiva su indicazione del suo capo di allora ma ha partecipato a numerosi incontri con il mediatore Obi e anche a una cena all’hotel Principe Savoia di Milano con l’ex ministro nigeriano Dan Etete, personaggiuo chiave del caso.
Etete deteneva la concessione OPL 245 dal 1998 quando, poco prima di lasciare il posto di ministro dell’energia nel Governo nigeriano del generale Abacha, la assegnò alla società Malabu, riferibile tramite prestanomi, a lui stesso e al generale Abacha. La posta in gioco è enorme. OPL 245 è un giacimento immenso così descritto dal bilancio dell’ENI: “L’area comprende il maggiore potenziale minerario non sviluppato dell’offshore profondo del Paese. Le riserve scoperte sono stimate in circa 500 milioni di boe”, cioé barili di petrolio equivalente. Scaroni l’8 marzo 2011 dichiarava al pm Woodcock: “Tale trattativa (con Malabu di Etete, Ndr) non è andata a buon fine”. Invece con uno schema diverso rispetto a quello descritto nelle telefonate Scaroni-Bisignani del novembre 2010, l’affare da 1,3 miliardi è andato in porto con il Governo ma sempre a beneficio di Etete, che alla fine ha incassato un miliardo e 92 milioni di dollari, due mesi dopo, alla fine di aprile 2011.