
ROMA – Eternit, il procuratore generale della Corte di Cassazione chiede di annullare la condanna a 18 anni all’unico imputato, l’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny, per le migliaia di morti di amianto nei suoi stabilimenti in Italia di Casale Monferrato, Cavagnolo (Torino), Rubiera (Reggio Emilia) e Bagnoli (Napoli).
I fatti risalgono al 1966. Secondo le indagini portate avanti tempo dal procuratore aggiunto di Torino, Raffaele Guariniello, i massimi vertici di Eternit erano a conoscenza, almeno dagli anni ’70, che l‘amianto provocava malattie letali ma, secondo l’accusa, avrebbero scelto con consapevolezza di proseguire nelle lavorazioni nocive.
Nell’aula magna di piazza Cavour dove si celebra il maxi processo Eternit presenti anche tantissimi familiari delle vittime per mesotelioma pleurico, il tumore provocato dall’inalazione di polveri d’amianto negli stabilimenti italiani della multinazionale elvetico-belga.
“Stiamo celebrando un processo per disastro ambientale in base all’articolo 434 del Codice penale e non si può che dichiarare la prescrizione del reato, che è quello che chiedo a meno che la Cassazione non ritenga l’insussistenza del reato” questa è la richiesta formulata dall’avvocato Franco Coppi al termine della sua arringa in favore del magnate svizzero Stephan Schmidheiny, condannato dalla Corte d’appello di Torino il 3 giugno 2013 a 18 anni di reclusione per la morte da amianto di circa mille persone, soprattutto in Piemonte.
Ad avviso di Coppi la morte e le lesioni “non sono contemplate dal reato di disastro ambientale tanto è vero che la stessa procura di Torino in altri procedimenti sempre relativi alla vicenda Eternit ha contestato le imputazioni per lesioni e, nel processo Thyssen, addirittura per omicidio doloso: e questa è la prova, diciamoci la verità, della consapevolezza che questo reato non è agganciato alla previsione di morte e lesioni” in pratica seguendo il ragionamento di Coppi, la Procura di Torino avrebbe dovuto contestare, a parte e oltre al disastro ambientale, anche i reati di omicidio e lesioni.
“Il legislatore – ha proseguito Coppi – tutte le volte che ha voluto richiamare la morte come conseguenza di un reato, lo ha fatto. Non lo ha fatto nel caso del disastro ambientale, perché la norma tutela l’esposizione al pericolo del bene della vita, in maniera del tutto svincolata dal fatto che si verifichino o meno morti o feriti”. Coppi ha ricordato che “sono trascorsi ormai 30 anni dalla chiusura degli stabilimenti Eternit eppure la sentenza d’appello non fissa alcun tempo per la prescrizione che rimane aperta ai prossimi 40 anni e questo non è accettabile perché si finisce per dare l’interpretazione di una norma del codice in base a fatti che devono ancora accadere”.
(Foto Ansa)






