TORINO – Il pm Raffaele Guariniello ha chiesto la condanna a 20 anni di reclusione per lo svizzero Stephan Schmidheiny e per il belga Louis de Cartier, imputati nel processo per le migliaia di morti provocate dalle esalazioni degli stabilimenti italiani della Eternit. La richiesta del magistrato, per i reati di disastro ambientale doloso permanente e omissione dolosa di cautele antinfortunistiche, ricalca quella già fatta in primo grado. I giudici condannarono poi i due imputati a 16 anni. ”Gli imputati – ha detto Guariniello – si sono rappresentati il verificarsi del disastro quale conseguenza certa della propria condotta, non si sono semplicemente limitati ad accettare il rischio di tale disastro”.
Guariniello ha chiesto che gli imputati siano condannati anche per le vittime da amianto degli stabilimenti di Rubiera (Reggio Emilia) e Bagnoli (Napoli). Un capo di imputazione, questo, che la sentenza di primo grado aveva considerato prescritto. ”Riteniamo – ha detto il magistrato torinese – che la loro responsabilità sia ancora attuale anche per quanto riguarda quei due siti”. ”Tutte le tragedie sono davvero grandi, ma una così grande come quella di questo processo non l’ho mai vista”, ha detto Guariniello al termine della requisitoria. ”E’ una tragedia immane – ha aggiunto – che ha colpito e continua a colpire cittadini, non solo lavoratori. E’ un disastro che non può essere ridotto ai luoghi di lavoro ma si sta consumando ai danni della popolazione, dei cittadini, di tutti noi. Continua a seminare morte e continuerà a farlo chissà fino a quando”.
”Oggi – ha ammonito Guariniello – stiamo facendo un processo, ma domani ci saranno altri morti. E avviene anche in altre parti del mondo, tutto sotto un’unica regia. Questa tragedia si è consumata senza che mai fino a oggi nessun tribunale abbia chiamato a rispondere i veri responsabili”. I parametri per cui è stata chiesta la condanna a 20 anni sono ”l’enorme gravità del danno, l’eccezionale intensità dell’elemento soggettivo e il dolo diretto. Non siamo – ha sostenuto il magistrato – al cospetto di titolari di un’officina metalmeccanica, ma dei vertici di un’enorme multinazionale, con un’alta capacità economica. Gli imputati per anni hanno negato la pericolosità e la cancerogenicità dell’amianto e sono stati mossi da una volontà precisa di proseguire l’attività a tutti i costi mettendo a repentaglio la salute dei lavoratori e della popolazione”. Infine, ”Schmidheiny ha mascherato attività di spionaggio e attività lobbistica dietro l’attività filantropica per evitare di rispondere della sua condotta davanti ai giudici”.