TORINO – Una sentenza storica per la vicenda Eternit. Il Tribunale di Torino ha condannato a 16 anni di carcere il miliardario svizzero Stephan Schmidheiny e il barone belga Louis De Cartier. I due rispondevano di disastro doloso e rimozione di cautele. Il tribunale, secondo quanto si ricava dalla lettura della sentenza ha ritenuto i due imputati colpevoli di disastro doloso solo per le condizioni degli stabilimenti di Cavagnolo (Torino) e Casale Monferrato (Alessandria). Per gli stabilimenti di Rubiera (Reggio Emilia) e Bagnoli (Napoli) i giudici hanno dichiarato di non doversi procedere perché il reato è prescritto.
Spiccano i risarcimenti decisi a favore del Comune di Casale Monferrato (25 milioni di euro), della Regione Piemonte (20 milioni) e dell’Inail (15 milioni) e del comune di Cavagnolo (4 milioni). Alle centinaia di familiari viene riconosciuto un risarcimento medio di 30.000 euro ciascuno. Nei mesi scorsi l’amministrazione comunale di Casale Monferrato, aveva prima accettato e poi rifiutato, dopo le proteste dei cittadini, 18 milioni di euro dalla multinazionale Eternit. Il risarcimento destinato all’associazione dei familiari delle vittime è di centomila euro.”E’ una sentenza che senza enfasi si può definire davvero storica, sia per gli aspetti sociali che per gli aspetti strettamente tecnico-giuridici”, è il commento del Ministro della Salute, Renato Balduzzi.
Il processo Eternit, cominciato il 10 dicembre 2009 nelle maxi aule interrate del Palazzo di Giustizia di Torino, è diventato, grazie anche alle sue dimensioni e alla sua risonanza, un processo simbolo della lotta per la sicurezza sul lavoro. Chiamati in causa Stephan Schmidheiny, 66 anni, un magnate elvetico che Forbes colloca al 354° posto fra gli uomini più ricchi del pianeta, e il barone Jean Louis Marie Ghislain De Cartier De Marchienne, novantanne. Sono i ”responsabili effettivi” – dice l’accusa dei pm Raffaele Guariniello, Sara Panelli e Gianfranco Colace – di Eternit spa, e sono quindi i responsabili delle morti provocate dall’amianto lavorato in quattro stabilimenti italiani della multinazionale: Casale Monferrato (Alessandria), Cavagnolo (Torino), Rubiera (Reggio Emilia) e Bagnoli (Napoli). Sono quasi 2.200 decessi: e non si parla solo degli operai, ma anche dei loro parenti e dei concittadini che hanno avuto il torto di respirare le fibre-killer. Si procede per il reato di ”disastro”. E per la prima volta l’indice viene puntato non contro i dirigenti delle singole filiali, ma contro i vertici.