“Ha dato la mano ai profughi. Non dia l’eucaristia a mio figlio”

BELLUNO – “Ha toccato i neri, non dia la Comunione a mio figlio”: è stata questa la richiesta che si è sentito fare un sacerdote di Santo Stefano, nel bellunese, da una signora della sua parrocchia.

Sabato 14 maggio, ricostruisce il Gazzettino, 90 profughi libici cristiani, arrivati a Santo Stefano, si riunirono a pregare in una palestra destinata a loro. Alcuni volontari se ne accorsero e li invitarono alla messa domenicale.

Il 15 maggio i profughi andarono quindi alla messa. Il parroco don Diego li accolse, li presentò alla comunità, e al momento della pace scese dall’altare per stringere loro la mano.

Non l’avesse mai fatto!  “Il giorno dopo una mamma del paese è venuta a lamentarsi direttamente da me – racconta Alessandra Buzzo, sindaco di Santo Stefano, al Gazzettino – dicendo che il parroco non avrebbe mai più dovuto permettersi di dare la comunione a suo figlio dopo aver stretto la mano a loro, neri. Faceva parte del gruppo di mamme che da giorni, dopo l’arrivo dei profughi, ogni mattina si presentava davanti al municipio per chiedere quando se ne sarebbero andati. La palestra in cui li abbiamo ospitati è vicina a una scuola, così hanno consigliato ai loro bambini di starci lontano, di passare altrove, per evitare di prendere malattie”.

Severo il commento di don Antonio Sciortino, direttore di Famiglia Cristiana: “Questo è il cristianesimo d’appartenenza. Come si fa a essere cristiani nella quotidianità e non conoscere le parole uguaglianza e accoglienza? Ignorarle è tradire il vangelo. Quel che è grave è la comunità ecclesiale che balbetta, non dice. Il silenzio della Chiesa è assordante, i cristiani sono diventati afoni. Viviamo un paese in cui si stanno sbriciolando le coscienze, di degrado etico e morale, di relativismo allarmante. E in tutto questo la Chiesa non ha la forza e il coraggio di dire qualcosa di crisitiano; se si parla di accoglienza si è codini di sinistra. Eppure nulla contraddistingue il cristiano come il rispetto per lo straniero. Ora invece il massimo dell’accoglienza è la tolleranza, che è un passo verso l’esclusione, la xenofobia. E sì che basterebbe ricordarci di quando gli albanesi eravamo noi”.

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Maria Elena Perrero