
ROMA – Una serie di cancelli, inferriate e filo spinato. Base e aeroporto di Cameri, in provincia di Novara. Base americana e fabbrica dove dovranno (o a questo punto dovrebbero) essere costruiti gli F-35. Là tra gli altri lavorerà Bruno Castellani, operaio, iscritto alla Fiom. Uno, racconta il Corriere della Sera in un pezzo intervista firmato da Marco Imarisio, di quelli che fanno la marcia per la pace.
Ma anche uno di quelli che davanti ai 2200 euro al mese che gli garantisce il lavoro non può dire di no. Perché quei soldi sono l’unico reddito della sua famiglia. I 16 miliardi spesi per gli F-35, infatti, sono anche questo: posti di lavoro.
Quello di Castellani è il dilemma dei sindacati, Fiom e non solo. Da una parte c’è la “pace” il no alla guerra, dall’altra c’è il lavoro. Lo stesso dilemma, in piccolo, vissuto anni fa da Hillary Clinton. Lei, di “sinistra”, non certo una fan delle guerre, votò a favore dell’intervento in Iraq. Votò per pragmatismo e non per ideali. Votò perché tra i suoi elettori c’erano gli operai che le armi costruiscono. Quegli operai che come tutti vogliono un posto di lavoro e uno stipendio da portare a casa a fine mese.
Castellani, che lavora all’Alenia, al Corriere spiega con estremo realismo:
Certo che se ci mettessimo a costruire mongolfiere sarei più contento, chi non lo sarebbe. Ma non è possibile riconvertire la produzione, e insomma, si metta nei miei panni
L’operaio, nonostante le polemiche è ancora convinto che alla fine gli F35 si faranno. Il suo è anche un auspicio:
Quando il progetto venne approvato a Roma erano tutti d’accordo. E sapevano bene che di trattava di aerei da guerra, mica giocattoli. Noi abbiamo sempre fatto questo». Anche lui, come tutti gli altri, è in trasferta. Dalla sua casa di Torino a questa distesa di campi irrigati che lambisce il Ticino. Un’ora e mezza ad andare, altrettanto a tornare.
Centrale, quindi, è la questione posti di lavoro. In tempo di crisi non è un aspetto da poco. Spiega Imarisio:
Il sito è un gigantesco alveare ancora vuoto, in attesa di essere riempito dalla commessa che per molti sta diventando sinonimo di spreco, o di soldi spesi male. I nuovi assunti sono trenta. Gli altri settanta, operai e ingegneri dell’Alenia di Caselle sono in appoggio, pendolari o alloggiati all’interno della base, che dista una quindicina di chilometri dal paese. Un avamposto. Il grosso della forza lavoro arriverà solo quando tutto sarà chiaro, chissà quando.
Il tutto per una domanda di lavoro molto più alta. Solo a Cameri, al comune, di curriculum ne sono arrivati 2300. Cv che il Comune può solo smistare. La conclusione, amarissima, la fa ancora l’operaio Castellani. Scrive il Corriere:
La contesa sugli F35 è un vicolo cieco dove le sacrosante questioni di principio fanno a pugni con lo stato di necessità. Neppure i duri della Fiom ce la fanno a trovare un punto d’equilibrio. Come tutte le aziende della produzione militare, l’Alenia di Caselle ha un tasso di sindacalizzazione non elevato. Solo il 35 per cento dei tremila dipendenti possiede una tessera, e 1.200di queste sono dei metalmeccanici Cgil, che nel resto d’Italia fanno fuoco e fiamme contro l’acquisto degli F35. Anche qui, ma con notevoli arrampicate sugli specchi, ammesse con molta sincerità. Antonio Fraggiacomo, tosto delegato Fiom dell’Alenia, considera la scelta degli F35 l’ennesima occasione perduta dell’industria aeronautica italiana, in questa occasione ridotta a manovalanza degli odiati yankee. Perfetto, e se poi non li fanno, quei caccia americani? Fraggiacomo allarga le braccia. «Senza commesse sicure rischiamo di chiudere». Bruno Castellani scuote la testa. «Poi lo racconti tu a mia moglie»? I vicoli ciechi hanno questo di brutto, che non se ne esce.