
VERONA – Omicidio di Federica Giacomini, le celle telefoniche portano al luogo in cui, secondo l’accusa, Federico Mossoni, 55 anni, avrebbe ucciso la propria compagna, l’attrice porno di 43 anni nota con il nome di Ginevra Hollander ritrovata cadavere in fondo al Lago di Garda.
L’autopsia ha già detto che la donna è stata ammazzata con violenti colpi alla testa. Dopo l’omicidio il suo corpo è stato inabissato nel lago, a Brenzone, dentro una sorta di ‘bara’ di plastica. Il rebus da risolvere ora è dove la donna sia stata uccisa.
Molti elementi, riferisce l’agenzia Ansa, porterebbero alla casa che Giacomini aveva a Pescantina (Verona), vicino al Lago di Garda. Sarebbero i tabulati telefonici di lei e di Mossoni a indicare questo come il luogo dell’omicidio. L’analisi delle chiamate evidenzia i momenti in cui Mossoni e Federica (che vivevano in una casa in affitto a Vicenza) si telefonano, da luoghi distanti, ma anche quando sono vicini.
O vicinissimi: perché ad un certo punto, a gennaio 2014, Mossoni continua a chiamare il cellulare di Federica quando questo risulta essere nello stesso luogo da dove lui le telefona, o finge di telefonarle: a Pescantina. Fino a che, il 19 gennaio, il cellulare di Federica diventa muto, e non si riattiva più. Quando Mossoni torna a Vicenza, il suo cellulare è attivo, quello della compagna no. Sempre i tabulati telefonici dimostrano che tra fine gennaio e inizio febbraio, all’epoca della scomparsa della vittima, Mossoni tenta freneticamente di mettersi in contatto con un barcaiolo di Brenzone.
Molti esercizi d’inverno sono chiusi, per cui si arriva facilmente ad identificare il noleggiatore della barca, l’unico aperto in quel periodo, con la quale Mossoni, fingendosi un biologo marino, avrebbe poi portato la cassa di plastica con il corpo di Federica nel Garda. Il barcaiolo non è indagato nell’inchiesta.
Era talmente convinto di avere per cliente un biologo vero, e d’averlo aiutato a buttare in acqua quella strana strumentazione zavorrata, che quando martedì scorso i sommozzatori hanno riportato in superficie l’involucro l’uomo, da riva, si è messo le mani nei capelli, ed il suo sguardo si è fatto sgomento.
A lui, diventato quindi il testimone chiave, gli agenti sono arrivati con la perseveranza a il fiuto da investigatori: per due volte l’uomo aveva negato la circostanza, forse temendo una verifica di natura fiscale, per poi ammettere solo qualche giorno fa il contatto con l’assassino. “Si è vero” ha detto alla Polizia, raccontando di quel finto biologo che voleva portare la voluminosa cassa azzurra nel punto più profondo del lago.
