FIRENZE – Per i difensori dell'imprenditore Salvatore Ligresti non c'e' nessuna prova che la trasformazione urbanistica dei 168 ettari 'verdi' a Castello, periferia nord di Firenze, nascondesse un disegno di corruzione, come ipotizza la procura: ci fu, invece, una lecita contrattazione tra proprietario privato (Fondiaria Sai) e soggetto pubblico (Comune). Cosi' oggi il fuoco incrociato nell'udienza al processo su Castello, che vede imputati per corruzione lo stesso Ligresti, gli ex assessori del Pd, Gianni Biagi e Graziano Cioni, dirigenti della compagnia e un progettista.
Secondo i difensori, i pm hanno portato un'accusa confusa, comunque insufficiente a determinare il reato della corruzione. L'avvocato di Ligresti, Gianluigi Tizzoni, ha spiegato che ''la procura non ha saputo dipanare un filo logico, ha consegnato al tribunale una matassa ingarbugliata.
Ciascuno dei tre soggetti che sarebbero coinvolti nella presunta corruzione (privato, pubblico ufficiale e professionisti) fa la propria partita, lecita e in modo autonomo''. E secondo Tizzoni ''non si e' dimostrata una circolarita' fra i tre'', tanto che ''la corruzione non emerge''.
''Il privato – ha spiegato il legale – voleva ottenere lecitamente le concessioni (per costruire edifici, ndr), il pubblico ufficiale voleva una cosa buona per Firenze e i professionisti Savi e Casamonti (i progettisti imputati, ndr) volevano essere retribuiti per un lavoro vero che hanno svolto''. Il difensore ha chiesto l'assoluzione.