Due anni e tre mesi di reclusione per Anna Maria Franzoni, una donna ”intelligente”, ”lucida” e che, soprattutto, ricorda bene di avere ucciso il figlio anche se continua a negare. Al processo Cogne-bis i pubblici ministeri hanno chiesto questa nuova condanna per la madre di Samuele, accusata di avere calunniato un vicino di casa cercando di farlo passare per il vero assassino. I pm Anna Maria Loreto e Giuseppe Ferrando non hanno usato la mano pesante: si tratta del minimo della pena prevista dal codice. Inoltre, anche se ”non ha arretrato di fronte al fatto di incolpare un innocente”, Anna Maria a loro parere merita le attenuanti generiche perché è stata ”sconvolta emotivamente” dalla vicenda.
Il ritratto dipinto dai magistrati, comunque, è a tinte forti: è quello di una donna ”molto intelligente”, capace di capire e di correggere i propri passi falsi di fronte agli inquirenti e all’opinione pubblica. Il dubbio che abbia cancellato dalla mente ciò che avvenne il 30 gennaio 2002, il giorno della morte di Sammy, non è dei magistrati: ”Ad affermarlo – dicono – sono alcuni periti psichiatri, ma le loro sono solo congetture, ipotesi, teorie. Uno degli esperti ha persino ammesso di non potere escludere che la Franzoni sia, in realtà, un’abilissima mentitrice”. Sulla consapevolezza di Anna Maria si gioca tutto il processo Cogne-bis. La donna è chiamata in causa per la denuncia con cui nel 2004, subito dopo la condanna di primo grado, si chiedeva di indagare sul conto di Ulisse Guichardaz. Il suo avvocato di allora, Carlo Taormina, aveva confezionato il documento, ma lei lo aveva firmato. E allora, se è vero – come dicono gli psichiatri – che ha rimosso il delitto, se il suo stato mentale è stato così alterato da spingerla a credersi innocente, non può essere condannata. Ma i pm dicono che a tradirla è il suo stesso comportamento.
”Perché quando è rientrata in casa non si è tolta gli stivaletti, come faceva di solito, ma si è precipitata da Samuele? Segno che sapeva di avergli fatto qualcosa di male prima di uscire. Perché prima dice che la porta era chiusa ma poi cambia versione e aggiunge che non era chiusa a chiave? Per fornire una via di accesso a un ipotetico sconosciuto. Perchè, conversando con i familiari, la Franzoni parla del pentolino? Perché è consapevole che potrebbe essere individuato come l’arma del delitto”. Il processo riguarda anche uno dei componenti della squadra dei collaboratori di Taormina, lo svizzero Eric Durst: durante un sopralluogo nella villetta lasciò un’impronta digitale sullo stipite di una porta. Lui dice di non averlo fatto apposta. I pm per lui hanno proposto un anno di reclusione.