Questa è la cronaca di un’Italia cattiva che ha come complice una gente ottusa e come alibi un paese vigliacco. Non è una storia a caso, non è un caso limite. E’ invece l’ordinario e conseguente sviluppo della ormai da tempo sdoganata malevolenza diffusa e reciproca, della incapacitĂ consolidata di assumersi anche una pur minima responsabilitĂ civile, della maleodorante religione imperante del farsi comunque i “fatti propri”.
La storia la racconta su “La Repubblica” Shulim Vogelman che ne è stato incredulo testimone e sconfitto attore. Sconfitto nella vicenda, sconfitto soprattutto nell’animo. Si svolge il 27 dicembre sull’Eurostar Roma-Bari. Sul treno sale a fatica un ragazzo che al posto delle braccia ha due moncherini fatti di tre dita ciascuno. Sale, si siede. Passa il controllore, una ragazza giovane. Gli chiede il biglietto. Il ragazzo il biglietto non ce l’ha, con la bocca tira fuori dal taschino la somma preparata in precedenza equivalente al costo del biglietto e spiega, parlando con evidente difficoltĂ : “No fatto in tempo, ecco soldi”. Spiega anche perchĂ© “no fatto in tempo”. Dice: “Handicap, handicap”. Dovrebbe bastare, a chiunque dovrebbe bastare e avanzare come spiegazione e giustificazione. Ma alla ragazza in divisa da controllore delle Ferrovie non basta. Vuole cinquanta euro in piĂ¹, il sovra prezzo per chi fa il biglietto in treno. Cattiveria umana, malanimo travestito da ossequio burocratico. Ma non è finita, è appena cominciata…
Il ragazzo senza braccia i 50 euro non li ha, piange e ripete: “Handicap, handicap”. Con l’unica “mano” che ha, la sua bocca, prende una penna dal taschino e prova a scrivere qualcosa, pensa di non essersi spiegato perchĂ© parla male, a fatica. La ragazza controllore gli prende la penna e lo rimprovera perchĂ© “non si scrive sul tavolini del treno”. Infatti scrivendo con la bocca il ragazzo senza braccia ha “sporcato” il tavolino. Nel vagone non c’è un cane di passeggero che dica qualcosa, non sono “fatti loro”.
La ragazza controllore se ne va, ma torna con il capotreno. Prima che ricomincino, il testimone Shulim racconta di aver trovato, raccolto un po’ di dignitĂ e di rispetto per se stesso. Interviene, spiega al capotreno che non è il caso. Capotreno e controllore lo invitano a farsi “i fatti suoi”. Il capotreno sostiene: “Poteva fare il biglietto alla macchinetta self-service”. Alla macchina automatica senza braccia. Questa la tesi e qui la cattiveria d’animo si sposa, come sempre accade, all’ottusitĂ di mente. Ed ecco la sentenza del capotreno: il ragazzo senza braccia deve scendere dal treno. Il ragazzo senza braccia è nel panico, disperato, non si muove, dice solo e ancora: “Handicap”. Vengono chiamati due poliziotti. Vedono l’handicap e con raffinata sensibilitĂ spiegano ad alta voce: “Questi non li puoi toccare, succede un casino”. Poi, insieme con capotreno e controllore, elaborano un piano crudele ed ipocrita: far scendere il ragazzo e comprargli con sì soldi suoi ma per mano di un ferroviere, un altro biglietto. Non avrĂ il posto a sedere ma, gli consigliano, “mettiti nel vagone ristorante”. Il ragazzo senza braccia e senza speranza ringrazia per lo sconto di pena.
Il ragazzo è sceso, ma la ragazza controllore non è sazia. Chiede alla polizia di identificare chi si è intromesso. Nel suo autismo culturale e intellettivo è lei la parte offesa. Poi, come fanno sempre tutti i piccoli potenti, si rifiuta di fornire le proprie generalitĂ . Ha infatti l’ardire della sua crudeltĂ ma non il coraggio di assumersene la responsabilitĂ . I poliziotti prendono le generalitĂ di chi, dell’unico in tutto il vagone che ha detto qualcosa, che non è stato zitto. Tutti gli altri continuano a tacere, sollevati dal fatto che in qualche modo è finita. Continua su quel vagone il viaggio dell’ordinaria, comune, semplice gente vigliacca su cui vigila un’umanitĂ ottusa in divisa. Sulla “Freccia della Cattiveria” c’è posto per tutti, per tutti i senza anima, senza intelletto, senza misura, senza pietĂ . Tutti hanno il loro posto, tranne il ragazzo senza braccia. Amen.
