La caposervizio del treno Bari Roma su cui viaggiava un ragazzo senza braccia scrive al quotidiano La Repubblica per raccontare come, a suo giudizio, si sono svolti i fatti. Non è vero, secondo lei, che il disabile è stato fatto scendere dal treno per comprare in biglietto né è vero che gli è stato chiesto di pagare un supplemento. Al contrario il biglietto afferma di averlo comprato lei, coi soldi del ragazzo, senza sovrapprezzo e senza far pagare al disabile la parte di tratta già percorsa.
Una versione, quella della ragazza controllore, completamente diversa da quella riportata dai giornali lo scorso 27 dicembre. La donna, 28 anni, afferma di scrivere «non per ribattere alle inesattezze pubblicate ma perchè la tempesta mediatica»che ne è seguita l’ha lasciata «turbata è ferita».
La caposervizio racconta di un disagio interiore e di una difficoltà tra la necessità di applicare le regole, per il rispetto degli altri viaggiatori, e i «valori umani che – scrive – mi hanno indotto a trovare personalmente una soluzione».
«Dopo essermi confrontata con il capotreno – spiega la ragazza – ho deciso di scendere io e non il viaggiatore alla stazione di Foggia e ho comprato io il biglietto con i soldi che egli mi aveva dato».
Quindi la ragazza controllore critica il modo in cui è stata trattata la vicenda: «Non so quanto sia giusto raffigurare come un ottuso burocrate che cerca di fare solo il proprio lavoro con coscienza e con scrupolo».
La caposervizio chiude la lettera dicendo di aver fatto del suo meglio per trovare una soluzione: «Ero davanti ad una situazione complessa, dovevo scegliere in pochi attimi e l’ho fatto cercando con ogni sforzo, il miglior equilibrio tra necessaria applicazione della norma e imprescindibile risposta umana verso una persona meno fortunata di me».
