ROMA – Don Evaldo Biasini, 84 anni, economo dimissionario della «Congregazione dei Missionari del Preziosissimo Sangue di Cristo» ed amico di vecchia data della famiglia Anemone, i costruttori romani al centro delle indagini sulla ‘cricca’ degli appalti, aveva messo su un attività che lo stesso sacerdote definisce, «una specie di banca privata». Una banca, questo lo dicono gli inquirenti, che movimentava un vorticoso giro di soldi, «in contanti ed assegni».
Il sospetto è che don Evaldo fosse una sorta di custode di fondi neri di Diego Anemone: per questo è stato sentito più volte dai magistrati di Perugia e di Firenze che indagano sui grandi appalti, ma alla figura del sacerdote potrebbe essere interessata anche la procura di Roma che di recente ha sequestrato 23 milioni di euro dello Ior perchè ritenuti frutto di operazioni sospette. È risultato, infatti, che don Evaldo abbia movimentato diversi assegni nella stessa agenzia bancaria romana nella quale sono transitati in un anno 140 milioni di euro su conti riconducibili allo Ior, compresi 600 mila euro prelevati, secondo l’accusa, senza rispettare la normativa antiriciclaggio. E in un database sequestrato al sacerdote la polizia ha rinvenuto, solo di recente, una gran mole di dati «riferiti a conti bancari, patrimoniali, postali, titoli, polizze, ecc…»: in 13 casi – accanto ad annotazioni di investimenti, conti ed azioni – ricorre la voce Ior. Tornando ai rapporti con Diego Anemone, agli atti dell’ inchiesta allegati all’avviso di conclusione indagini recapitato nei giorni scorsi ai presunti componenti della ‘cricca’ molte carte riguardano i rapporti patrimoniali tra il sacerdote e il costruttore, che il 22 settembre 2008 gli chiede soldi, «prima di un incontro programmato – evidenziano i magistrati – con Guido Bertolaso». Questo il testo di una intercettazione tra Anemone e il sacerdote: «…senti Evà scusa se ti scoccio… solo per rotture di coglioni perchè ieri…stamattina devo vedere una persona verso le 10 e mezza…11..tu come stai messo?».
Don Evaldo risponde di poter recuperare su due piedi solo 10 mila euro: «…di soldi?…qui ad Albano ce n’ho 10 soltanto…giù a Roma potrei darteli… debbo poi portarli in Africa… mercoledì.. vediamo un pò». Proprio il 22 settembre 2008 don Evaldo cambierà allo sportello di una delle sue banche un assegno da 50 mila euro: un’operazione sospetta che lo stesso istituto bancario segnalerà più tardi alla Banca d’Italia. Ai pm di Perugia, che lo ascoltano il 29 aprile scorso, don Evaldo spiega che «tra me e Diego Anemone c’era un deposito cauzionale, questo a seguito dei lavori che Anemone stava effettuando per noi… se Diego me lo chiedeva io gli davo i soldi per i lavori che lui faceva». Ma il sacerdote non si limitava a custodire denaro di Anemone. I magistrati gli chiedono infatti spiegazioni su un «sotto conto Mauro» e don Evaldo risponde che «si trattava di un conto di tale Della Giovampaola» (Mauro Della Giovampaola, uno dei funzionari pubblici sotto inchiesta – ndr). «Anemone mi chiese di tenere degli assegni circolari di Della Giovampaola – racconta il sacerdote ai pm – sino al termine di un affare. Della Giovampaola disse che se quell’affare fosse andato in porto, quei soldi li avrei tenuti per me per poter realizzare un ospedale in Africa. Io ho tenuto quei soldi (circa 300 mila euro in assegni intestati ad una giovane finlandese, socia di una società in qualche modo interessata ai cantieri della Maddalena – ndr) perchè Diego mi aveva detto che sarebbero serviti per una donazione». Don Evaldo afferma di aver depositato più volte sul suo conto denaro che Anemone gli chiedeva di «conservare» e che poi il costruttore prelevava, personalmente o tramite la sua segretaria o qualcuno dei suoi autisti. E aggiunge: «Non mi sono mai posto il problema perchè Anemone consegnava i soldi a me invece di depositarli in banca. Io assicuravo a Diego Anemone per questi soldi degli interessi annui pari al 2%, interessi questi che Anemone non ha mai ritirato lasciandoli a me per le opere benefiche». E nonostante questa sia un’attività singolare, per un sacerdote, don Biasini spiega ai magistrati che «Anemone non è l’unica persona da cui ho ricevuto soldi a titolo che io chiamo ‘a titolo di deposito cauzionale’. È una specie di attività – ammette – che io ho personalmente inventato nel lontano 1967 quando ero amministratore di un ordine sacerdotale. A causa di gravi problemi economici in seno all’ordine, ho iniziato questa attività che può fungere come una specie di banca privata, dove venivano depositati dei soldi da parte di privati» (da intendersi come «missionari, parenti dei missionari e qualche amico»), «mentre da parte mia io garantivo su questi depositi il 5 e poi il 2%».
Il sacerdote (che ai magistrati dice di aver subito una condanna a sei anni di reclusione «molti anni fa» per associazione per delinquere in relazione ad una «operazione di trasferimento di quote per una società») sottolinea di avere due conti correnti presso altrettante banche: «Sono conti nominativi però ci sono depositati i soldi di proprietà della Congregazione, provenienti sia dalle offerte che quelli depositati da privati». In realtà don Evaldo risulta collegato «a molteplici rapporti bancari» presso diversi istituti, in uno solo dei quali risultano in meno di due anni uscite per oltre 7 milioni e 300 mila euro ed entrate per 6 milioni e 400 mila.
