Un pizzino ingoiato da un boss ucciso nel novembre 2007 mentre tentava di sottrarsi alla cattura nella campagne di Enna e ritrovato nel suo stomaco nel corso dell’autopsia, ha dato l’avvio ad una importante indagine contro i mafiosi della cosca di Gela che ha visto ora l’emissione di 41 ordini di custodia cautelare.
Con l’operazione « Compendium» la Direzione investigativa antimafia, la squadra mobile di Caltanissetta e il commissariato di polizia di Gela hanno così ricostruito le attività illecite della criminalità organizzata gelese degli ultimi 8 anni, tracciando la mappa di affari e interessi del gruppo di Cosa nostra, monitorando le attività di sostegno alla latitanza del boss Daniele Emmanuello, e sgominando la rete di collegamento che il clan aveva realizzato con il Nord, scegliendo Parma come base operativa.
A Parma si era trasferito uno dei luogotenenti di Daniele Emmanuello, Salvatore Terlati, il quale, con la complicità di alcuni imprenditori gelesi che operavano sul posto (i fratelli Infuso e gli Alabiso), era riuscito a mettere in piedi una lucrosa attività di caporalato, piazzando a varie imprese del Nord manodopera specializzata (saldatori, tubisti, carpentieri) proveniente da Gela.
Lo stesso Terlati sottoponeva ad estorsione molte ditte di varie regioni attuando una sorta di «racket dal volto umano». Incassava tangenti ma a modo suo «aiutava» le vittime a recuperare la spesa extra fornendo loro fatture false per prestazioni inesistenti, che permettevano di scaricare i costi ed evadere il fisco. Ma chi non pagava subiva intimidazioni e danneggiamenti.
Copertura logistica e denaro servivano al clan per allargare i propri affari nelle regioni dell’Italia centro-settentrionale e alimentare il traffico di stupefacenti. L’organizzazione era così radicata che aveva deciso di infiltrarsi nella politica. Orazio Infuso, Marco Carfì e Nunzio Alabiso furono candidati, nel 2007, alle elezioni per il rinnovo del consiglio comunale di Parma, nella lista dell’Udeur. Nessuno dei tre però era stato eletto.
I 41 provvedimenti di custodia cautelare sono stati emessi dal gip del tribunale di Caltanissetta, Giovanbattista Tona, su richiesta della Dda nissena. Gli arrestati devono rispondere, a vario titolo, di associazione mafiosa finalizzata al controllo illecito degli appalti e dei subappalti, intermediazione abusiva di manodopera, traffico di stupefacenti, ricettazione, estorsione, danneggiamenti, riciclaggio di denaro sporco, detenzione e porto abusivo di armi e munizioni.
Tra le armi (pistole, fucili ed esplosivo) sequestrati c’é anche una colt calibro 45 che, secondo una perizia balistica, sarebbe stata usata in due omicidi compiuti a Gela, durante la guerra di mafia: quello di Antonio Meroni, nell”89, e quello di Francesco Dammaggio, nel febbraio del ’91.