Giovani praticanti avvocati, “ragazzi-spazzola”: lavoreranno gratis per legge

Giovani praticanti avvocati, “ragazzi-spazzola”: lavoreranno gratis per legge

ROMA – I praticanti avvocati come i “ragazzi-spazzola” dei barbieri di una volta, quelli costretti a sperare nella generosità dei clienti che volevano lasciargli una mancia. Ebbene i giovani aspiranti avvocati, laurea in tasca e dignità sotto i piedi, lavoreranno gratis o quasi come i garzoni di bottega dei tempi andati. E’ una delle novità previste dalla riforma della professione forense che i senatori sembrano voler approvare per forza entro la fine della legislatura.

Troppo tardi per i tagli alle province, troppo poco tempo per varare misure alternative al carcere previste nel testo Severino. Dovendo scegliere cosa votare in fretta e furia, la conferenza dei capigruppo al Senato ha optato per la riforma scritta a quattro mani dalla vecchia maggioranza Pdl-Lega,  su ispirazione del Consiglio Nazionale Forense.

Gian Antonio Sella sul Corriere della Sera fa il punto sulla riforma che farebbe comodo ai 50 avvocati che siedono a Palazzo Madama. Tanti gli aspetti contrastanti: da chi contesta il divieto ai non iscritti all’albo degli avvocati di fornire consulenza extragiudiziale a chi preferirebbe che rimanesse in vigore il divieto a costituire studi legali in forma di società di capitali, sul modello delle law firm di stampo anglosassone. Ma in quel testo sono almeno tre i punti a sfavore dei giovani che inspiegabilmente privilegiano l’anzianità. Scrive Stella:

Il primo obbliga gli avvocati a un continuo aggiornamento professionale ad eccezione di quelli che hanno più di 25 anni di iscrizione all’Albo. Come se chi ha smesso da più tempo di studiare avesse meno bisogno di star al passo coi nuovi testi e le nuove sentenze di chi è di studi più recenti. Peggio: sono esentati gli avvocati politici con la motivazione che si aggiornerebbero automaticamente grazie a quanto fanno. Più ancora, però, Ichino e altri sono indignati per il comma 11 dell’articolo 41. Il quale dice che «ad eccezione che negli enti pubblici e presso l’Avvocatura dello Stato» (come a dire: facciano pure, loro, tanto sono soldi pubblici) «decorso il primo semestre, possono essere riconosciuti con apposito contratto al praticante avvocato un’indennità o un compenso per l’attività svolta per conto dello studio, commisurati all’effettivo apporto professionale dato nell’esercizio delle prestazioni e tenuto altresì conto dell’utilizzo dei servizi e delle strutture dello studio da parte del praticante avvocato». Traduzione: il titolare di uno studio può pagare un obolo al giovane praticante avvocato che sgobba per lui solo dopo il primo semestre. Non è obbligatorio: primi sei mesi gratis, poi è un rimborso facoltativo.

Senza dimenticare il potere assoluto del dominus, l’avvocato fondatore dello studio, presso il quale i giovani avvocati continuano a prestare lavoro tutt’altro che autonomo anche dopo aver superato l’esame di abilitazione, senza una reale possibilità di carriera e senza mai varcare la soglia dei mille euro al mese. Meccanismi perversi che di fatto favoriscono lo schiavismo del nuovo millennio e la riforma non pare affrontare e anzi avalla.

Peggio ancora, denuncia Dario Greco, il presidente dell’Aiga, l’associazione dei giovani avvocati: il riconoscimento di quel rimborso facoltativo dopo i primi sei mesi «cessa al termine del periodo di pratica lasciando completamente scoperti quei giovani che attendono di fare l’esame d’avvocato oppure che l’hanno superato, ma che continuano a frequentare lo studio ed a lavorare a tempo pieno per il loro dominus. Si tratta di rapporti di collaborazione che di autonomo non hanno nulla e che coinvolgono un elevatissimo numero di giovani di ogni regione italiana, i quali, si trovano costretti a rimanere in tali studi alle sostanziali “dipendenze” dei loro domini, senza forma di tutela alcuna, e senza il riconoscimento di un compenso che sia effettivamente commisurato all’apporto che il giovane riesce a dare allo studio».

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Daniela Lauria