IL CAIRO – L’incubo di Giulio Regeni si sarebbe consumato in poco meno di 40 minuti, a due passi da casa sua: è lì, tra le 19.40 e le 20.18 del 25 gennaio, quinto anniversario della rivoluzione di piazza Tahrir, che il ricercatore friulano viene inghiottito in un buco nero dal quale ricomparirà, cadavere, 9 giorni dopo, gettato lungo un’autostrada dopo esser stato picchiato e seviziato. A due settimane dalla scomparsa, cambia ancora una volta lo scenario, a conferma, se ce ne fosse ancora bisogno, che la verità è assai lontana. Ma almeno ci sarebbe una novità sui suoi oggetti scomparsi: il pc è nelle mani della Procura di Roma ed era stato preso da Il Cairo dai genitori.
A fornire la nuova versione sono le autorità egiziane, con il procuratore di Giza titolare delle indagini Ahmed Nagi, i media egiziani e la testimonianza dell’amico di Regeni, Gennaro Gervasio. Quest’ultimo era il tutor di Giulio, docente di scienze politiche all’università britannica del Cairo, con il quale il ragazzo aveva appuntamento quella sera per andare a cena in un ristorante nella zona di Bab al Louq con un’altra persona. Gervasio è rientrato in Italia ed è stato sentito sia dagli investigatori egiziani che da quelli italiani. E’ lui che fa scattare l’allarme quella stessa sera del 25 ed è lui ha ricostruire gli ultimi movimenti conosciuti di Regeni. Che, ha ribadito anche oggi il direttore del Dis Giampiero Massolo, non era né uno 007 né collaborava con i servizi segreti italiani.
Dice dunque Gervasio di aver parlato al telefono con Giulio alle 19:40: “mi ha detto che si sarebbe mosso da casa verso le 20 per raggiungere la fermata della metropolitana di Dokki(circa 6-7 minuti da casa) e che sarebbe sceso alla fermata Mohamed Naguib, da dove sarebbe venuto a piedi fino al ristorante”. La fermata si trova a poca distanza da piazza Tahir e quella sera, vista la ricorrenza, c’erano centinaia di uomini delle forze di polizia in strada, per evitare che vi fossero assembramenti e manifestazioni. “Erano preoccupate – ha detto in un’informativa alla Camera il sottosegretario agli Esteri Benedetto Dalla Vedova – di possibili questioni di sicurezza”.
Una situazione tesa, dunque, che ha fatto preoccupare anche Gervasio visto che fa ben tre tentativi di contattare Regeni. Nel caso del primo, alle 20.18, e del secondo, alle 20.23, il telefono squilla a vuoto; al terzo, alle 20.25, il telefono di Giulio è muto: da quel momento in poi non verrà mai più riacceso e non sarà mai ritrovato. “E’ sparito 25 minuti dopo esser uscito di casa” ha detto Gervasio. Secondo quanto riporta il quotidiano Al Masry al Youm, l’accertamento sulle celle telefoniche avrebbe confermato che il ragazzo non si è mai spostato dalla zona in cui abitava: il telefono cellulare sarebbe infatti “stato localizzato” per l’ultima volta “nella zona di Dokki, nei pressi del suo appartamento”.
Cosa è dunque accaduto in quei 40 minuti? Qualcuno ha prelevato Giulio direttamente a casa sua o lì nei pressi? Qualcuno lo aspettava alla stazione della metropolitana o lungo il percorso? C’è stata una qualche retata in cui Giulio è rimasto coinvolto o magari è finito nelle mani di qualche squadraccia? Oppure, ancora, qualcuno che sapeva bene chi era lo stava aspettando per farlo sparire? Qualche risposta, forse, potrebbe arrivare dalle telecamere di sorveglianza, ma allo stato gli investigatori italiani non hanno ancora visionato nulla. Sperano di poterlo fare domani, ma al momento non c’è alcuna certezza. L’allarme scatta due ore dopo. Gervasio contatta “tra le 22.30 e le 23” direttamente l’ambasciatore italiano sul cellulare il quale, a sua volta, si attiva immediatamente “interessando formalmente – ha detto il sottosegretario Dalla Vedova in un’informativa alla Camera – le autorità locali e verificando contemporaneamente tutti i possibili canali di contatto per rintracciare Giulio”. Ma gli egiziani non si muovono subito: lo conferma la vicenda del Pc di Regeni, ora in mano agli inquirenti italiani. Nessuna autorità va infatti a casa del giovane per diversi giorni tanto che, quando sabato 30 arrivano al Cairo i genitori, trovano tutti i suoi effetti personali, compreso il computer.
“Lo hanno preso loro – ha raccontato il coinquilino, l’avvocato Mohamed Al Sayad – assieme a tutti i file contenenti le sue ricerche e i suoi abiti”. Ora quel pc è nelle mani degli investigatori, che sperano di trovare qualche risposta alle tante domande senza risposta. Come sperano di trovarle sentendo gli accademici e i ricercatori che verranno in Italia per il funerale per raccogliere il maggior numero di informazioni sul lavoro di Giulio e sulla sua rete di informatori. L’obiettivo è in particolare uno: la riunione dell’11 dicembre dei sindacati indipendenti che si è tenuta al Centro servizi per i lavoratori e sindacati. Di quella riunione Regeni scrisse per Nena News, lo stesso pezzo che inviò anche al Manifesto con uno pseudonimo: gli inquirenti non escludono che all’ incontro, a cui hanno partecipato un centinaio di persone, possano aver preso parte anche ‘infiltrati’ che potrebbero aver notato la presenza di un italiano. E magari segnalarla a qualcuno. O, peggio, ancora, l’abbiano venduto a chi, poi, l’ha ucciso in quella maniera atroce.