ROMA – “Siamo convinti che quanto accertato dai medici legali italiani possa contribuire a stabilire che cosa è accaduto, tenendo conto che le sevizie scoperte sono addirittura più gravi di quelle riscontrate durante il primo esame svolto in Egitto“. Lo dice in un colloquio con il Corriere della Sera il capo della Procura di Roma Giuseppe Pignatone sul rapimento e l’uccisione di Giulio Regeni al Cairo.
Il procuratore chiarisce anche i termini dell’intesa siglata due giorni fa per arrivare alla verità sul caso: “Abbiamo un impegno formale del procuratore generale sulla massima collaborazione per arrivare alla verità e questo, al momento, ci soddisfa. Vedremo nelle prossime settimane come si evolverà il lavoro comune, però una cosa deve essere chiara: noi forniremo tutto il supporto necessario, ma i titolari delle indagini sono i magistrati egiziani”.
Pignatone assicura che “l’attenzione rimarrà alta, seguiremo passo dopo passo l’evoluzione degli accertamenti” e spiega che incontrerà i familiari del ricercatore italiano “nei prossimi giorni”. A loro, dice, “ribadirò la nostra intenzione di andare fino in fondo perché possano ottenere giustizia”. Il risultato principale per ora “è quello di aver ottenuto l’assicurazione che nessuna illazione venga fatta sulla figura dello studente, sulla sua rettitudine. Si è sgombrato il campo da tutte le falsità e i sospetti circolati sinora e questa è una buona base dalla quale ripartire. Entro qualche giorno consegneremo ai colleghi egiziani il nostro fascicolo, compreso il risultato dei controlli effettuati sul computer di Regeni. Al procuratore generale Nabil Sadeq invieremo anche il risultato finale dell’autopsia svolta dal professor Fineschi”. Le sevizie scoperte, aggiunge, “sono addirittura più gravi di quelle riscontrate durante il primo esame svolto in Egitto. E infatti lo stesso collega egiziano ha dovuto riconoscere come il delitto sia di una ferocia efferata”.